Medici e scienziati di mezzo mondo sono impegnati in una doppia guerra al Coronavirus. Da un lato si cercano di salvare quante più persone possibile, tra quelle finite negli ospedali. Dall’altro si cerca una cura nei laboratori e, per farlo, si studiano i dati a disposizione. Per farlo, soprattutto in Paesi come l’Italia, maggiormente colpiti in termini di vittime del Covid-19 c’è molta attenzione al numero di decessi e alle cause effettive della morte. E c’è chi, come la virologa Ilaria Capua, ha rivolto un appello ai patologi, affinché possano presto fornire maggiori informazioni sulle malattie che hanno portato alla morte di così tanti pazienti nel nostro Paese. In un articolo pubblicato da fanpage.it la virologa ha anche posto alcuni interrogativi sulla possibilità che sul tasso di mortalità registrato in Italia per il Coronavirus possa dipendere dalla resistenza agli antibiotici. Una domanda alla quale, in questo momento, possono rispondere gli esperti che stanno analizzando i quadri clinici delle persone che sono morte con il Coronavirus. ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto, dunque, al professor Massimo Galli, professore ordinario di Malattie Infettive all’Università Statale di Milano e primario dell’Ospedale Sacco del capoluogo lombardo. “Non notiamo alcuna incidenza sui pazienti di cui abbiamo i dati” risponde.

LA RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI – Quello della resistenza agli antibiotici è un problema per noto e che riguarda l’Italia da vicino, visto che si registra proprio nel nostro Paese un terzo del totale delle morti in Unione europea legate all’antibiotico-resistenza. Ossia oltre 10mila casi sui 33mila complessivi secondo l’ultimo aggiornamento fornito dall’Istituto superiore di sanità in occasione della Settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici, dal 18 al 24 novembre. In Italia, inoltre, le percentuali di resistenza delle otto specie batteriche responsabili di infezioni gravi in ospedale (Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter species) sono più alte rispetto alla media UE nel 2018.

GALLI: “NON EVIDENZIAMO RELAZIONE TRA DECESSI E ANTIBIOTICO-RESISTENZA” – Ma questo problema può aver avuto un ruolo sul tasso di mortalità dei pazienti in Italia? Può aver trasformato la degenza in ospedale di pazienti in un’ulteriore occasione di incorrere in infezioni batteriche resistenti gli antibiotici? “Francamente non ho una relazione di questo tipo da porre in evidenza – spiega Galli – perché la grandissima maggioranza dei pazienti che non ce l’ha fatta, è deceduta a causa di polmonite virale. Non riscontriamo, invece, una sovrapposizione batterica da microrganismi resistenti, che ci avrebbe portati ad approfondire altre possibilità e, magari, ad altre conclusioni”.

L’ALLARME OMS – Eppure oggi fa riflettere l’allarme lanciato dall’Organizzazione mondiale della Sanità lo scorso 17 gennaio, quando l’Italia e l’Europa guardavano la Cina, ignorando ciò che sarebbe accaduto di lì a poco ‘a casa nostra’. “Mai la minaccia dell’antibiotico-resistenza è stata più immediata e il bisogno di soluzioni più urgente” affermava il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, sottolineando che il declino degli investimenti privati e la mancanza di innovazione nello sviluppo di nuovi antibiotici sta minando gli sforzi per combattere le infezioni resistenti. “Che nel 2050 i deceduti a causa di microrganismi saranno più dei deceduti da tumore (secondo l’Oms se oggi 700mila persone all’anno muoiono per infezioni resistenti agli antibiotici, il numero crescerà fino a 10 milioni fra trent’anni, ndr) le dico che è un’ipotesi accreditata – ribatte Galli, ma che questo abbia una implicazione con quello che sta accadendo e con il numero di decessi in Italia, ebbene questa è un’ipotesi che tenderei a escludere”.

LE CAUSE DEL TASSO DI MORTALITÀ ALTO – Come già sottolineato, anche dallo stesso infettivologo del Sacco, la percentuale così ‘apparentemente’ alta di mortalità (fino a 12 volte maggiore rispetto alla Corea del Sud, è dovuta ad altri fattori. Tra questi, il fatto è che il dato sulla mortalità tiene conto di un numero di contagiati che non è reale, ma è più basso rispetto a quello che è il numero effettivo di persone infette “perché il tampone viene fatto solo a pazienti sintomatici”, mentre non vengono effettuate vere indagini epidemiologiche su tutti i contatti reali dei malati. E poi c’è un altro fattore che caratterizza il nostro Paese: dopo il Giappone, l’Italia è il paese con più anziani al mondo: il 7,5% della popolazione ha più di 80 anni. Con tutto quello che questo significa in termini di patologie e vulnerabilità. Anche rispetto al Coronavirus.

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