Fidatevi. Dal punto di vista dello studente non c’è niente di più soporifero di una lezione telematica. Non c’è bisogno di rievocare l’incubo notturno delle lezioni Rai che andavano in onda su Nettuno. La tecnologia è certo migliorata e forse un po’ anche la propensione dei docenti a cercare di farsi capire meglio. Ma, presentato come un’opportunità, il trasferimento di molte attività didattiche universitarie e non su piattaforme telematiche, non è una fortuna, è, oggettivamente, un’altra delle disgrazie che il Coronavirus ci ha regalato.

La gran parte delle università, compresa quella dove lavoro, da tempo si sono dotate di tecnologie, software e hardware per produrre didattica online. A Verona usiamo Panopto, un software altamente professionale, che consente di interagire con il docente, di collegarsi con qualsiasi device, anche con i telefonini, e di comunicare in un’unica schermata il faccione del docente oltre che eventuali filmati o slides che arricchiscano la lezione. Il docente così è in condizione di realizzare le proprie lezioni da ogni dove e i risultati possono essere disponibili sia in diretta streaming che scaricabili per essere visionati in qualsiasi altro momento. Insomma, meglio di così si fatica a pensare.

Tuttavia, resta il problema che nulla è più incompatibile della “distanza” al concetto di didattica. La didattica, prima che un trasferimento di conoscenze, è un trasferimento di personalità del docente, che si attutisce clamorosamente attraverso Internet. Ha bisogno della vicinanza, della contiguità. Difficile essere naturali, impossibile muoversi per chi insegna. Lo studente poi non dà feed back, non ti restituisce la palla. Nulla più di uno studente disattento grida “svegliati” al professore e lo spinge a trovare modi più convincenti per insegnare. Nulla più di un discente attento, anche solo nello sguardo, conforta il docente che è sulla strada giusta e lo incita a insistere. Insomma, i processi di apprendimento sono un dialogo personale e anche la migliore tecnologia non riesce che a riprodurre una minima parte della loro vivacità.

Il virus ha colpito, e anche in questo caso ci ha dimostrato tutta la limitatezza, la debolezza strutturale della tecnologia, delle creazioni dell’uomo. Ciò che è umano non è mai completamente sostituibile. Da tempo in realtà, non solo nel campo della didattica, abbiamo pensato di poter sostituire in maniera equivalente, senza cioè ridurre il livello della qualità finale, il fattore umano. In compenso la didattica online, forse una iattura per gli studenti, è di sicuro un’ottima opportunità per i docenti, uno specchio che consente loro finalmente di guardarsi con occhio sufficientemente esterno e di valutarsi serenamente.

Tutti ormai conoscono Ted, la piattaforma divulgativa. Essa offre brevi filmati, in genere nell’ordine di 20 minuti, dove è svolto compiutamente un tema scientifico, dove è presentata e illustrata una tesi in genere di un certo valore. Il relatore è in piedi, non legge, fa uso di filmati o quant’altro per illustrare le sue tesi. Al momento questa piattaforma, che è diventata un modello di comunicazione scientifica più generale, rappresenta il punto più avanzato di quella divulgazione che appunto è anche l’obiettivo della didattica online. Un caso da imitare, anche tecnicamente. Così se se ci capita di andare a fare un confronto tra le nostre lezioni e il Ted scopriamo che anche nel campo della tecnologia e della comunicazione, qualche passo avanti possiamo farlo.

Buon viso a cattiva sorte, questo è il ruolo della didattica online in tempi di Coronavirus, con qualche spunto positivo da sfruttare, soprattutto per i docenti. Che la qualità della docenza diminuisca attraverso le piattaforme telematiche, questo è fuori discussione. Può sostituire la perdita totale delle lezioni, ma non il risultato complessivo delle lezioni tradizionali. Come Alberto Sordi nel film Io e Caterina, alla lunga anche i robot sexy diventano un impaccio e non danno molta soddisfazione. Meglio i profe in carne e ossa, con tutti i loro difetti.

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