Quanto inquina il settore ICT (Information Communication Technology), vale a dire l’insieme di tutte le tecnologie digitali e i dispositivi hardware come smartphone, tablet, notebook e computer? Poco, almeno stando al recente studio di Ericsson, “A quick guide to your digital carbon footprint”. Nonostante la pervasività di queste tecnologie e la crescita esponenziale dei dati che produciamo quotidianamente – segno di un loro uso sempre più massivo – secondo l’azienda svedese esse contribuirebbero appena per l’1,4% delle emissioni di anidride carbonica prodotte a livello mondiale.

Guardando ai meri numeri, non sembrerebbe affatto così. Nel 2015 infatti la produzione totale di gas serra da parte del comparto ICT è stata di 730 milioni di tonnellate, grossomodo equiparabile alle 800 milioni di tonnellate prodotte dal settore aeronautico nello stesso anno dalla combustione del carburante. Non certo poco dunque.

Tuttavia, contestualizzando tali numeri si comprendono meglio le affermazioni di Ericsson. Mentre infatti 730 milioni di tonnellate è la quantità di CO2 prodotta durante l’intero ciclo vitale, vale a dire produzione, funzionamento e smaltimento, quello degli aerei tiene conto unicamente del carburante consumato. Inoltre, chiarisce lo studio, mentre soltanto il 10% della popolazione mondiale si sposta in aereo ogni anno, i dispositivi e le tecnologie ICT sono utilizzate dal 70% degli individui del pianeta, per cui l’impatto non sarebbe equivalente nemmeno se in entrambi i casi parlassimo del ciclo di vita complessivo. Basti solo dire che le emissioni di un volo aereo transoceanico andata e ritorno equivalgono da sole a quelle prodotte da 50 anni di utilizzo di uno smartphone.

Certo, lo studio può definirsi parziale, perché sappiamo bene che le fonti di inquinamento non sono costituite dai soli gas serra, pur dannosissimi e responsabili in larga misura degli attuali cambiamenti climatici. Come abbiamo già analizzato di recente, i rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) sono ad esempio difficili da smaltire correttamente a causa della loro complessità e contengono materiali come cobalto, tantalio e minerali rari la cui estrazione è costosa, anche i termini di vite umane, e dall’elevato impatto geopolitico, basti pensare a tutte le guerre locali che la loro estrazione contribuisce a creare o alimentare. UN problema complesso, che sta spingendo anche l’Europa e l’Italia ad agire.

In conclusione Ericsson fornisce anche alcuni consigli di buon senso per ridurre ulteriormente l’impronta di carbonio dell’ICT sul pianeta, sebbene alcune di esse non siano semplici da mettere in pratica (ad esempio ricaricare i nostri dispositivi utilizzando solo elettricità da fonti rinnovabili). “Utilizzate i vostri smartpone o altri dispositivi ICT più a lungo prima di sostituirli con modelli più recenti”, “assicuratevi di riutilizzare o riciclare correttamente i vostri dispositivi ICT”, “evitate di acquistare più dispositivi ICT di quanti abbiate realmente tempo di utilizzare” e “fruite dei servizi digitali su dispositivi più piccoli”, sono comunque indicazioni valide.

Ma l’invito più importante Ericsson lo fa, giustamente, all’impegno personale di ogni utente. “Acquistate i vostri dispositivi e servizi digitali da aziende che aderiscono alla SBTi (Science Based Targets initiative), un’iniziativa congiunta di CDP, UN Global Compact (UNGC), World Resources Institute (WRI) e WWF intesa a rafforzare la volontà da parte delle aziende ad agire in favore del clima fissandosi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra coerenti con il livello di decarbonizzazione richiesto dalla scienza per limitare il riscaldamento globale.

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