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Sanremo 2020, l’ultimo ‘balconcino’ di Vincenzo Mollica: “Con quel poco di vista che mi è rimasta, cioè un ca**o, mi tolgo dalle scatole”

Federico Fellini, Raffaella Carrà, Adriano Celentano, Lucio Dalla, Luciano Pavarotti, Alberto Sordi, quando ancora i talk asfissianti ad ogni ora del giorno non c’erano, Mollica era già a venti centimetri da loro pronto ad intervistarli con un sorriso bonario e davanti ad una magica, infinita pazienza altrui

di Davide Turrini

“Mi sono minchioluto”. L’ultimo Festival di Vincenzo Mollica è giunto al capolinea. Lo storico inviato Rai va in pensione. Nonostante la malattia lo avesse stremato da tempo, il suo classico “balconcino”, la finestra del Tg1 poco prima dell’inizio delle dirette di Sanremo, non è mai mancato. “Con quel poco di vista che mi è rimasto, cioè un cazzo, vi posso dire con franchezza che mi tolgo dai coglioni perché il 29 febbraio vado in pensione”, ha spiegato Mollica dalla sala stampa del festival. “Di questi tempi ho due compagni di viaggio: uno è mister glaucoma, un bel figlio di mignotta; l’altro mister Parkinson che è come una canzone di Celentano anni 60: ha due ritmi, uno lento e poi parte il rock hard tosto e duro”, ha continuato scherzando , “non ho proclami da dirvi. Fare il cronista è stato il mio mestiere, il Tg1 casa mia. La mia massima principale è questa: omerico non fui e non sarò mai per poesia ma per mancanza di diottria”.

Il lungo saluto a Mollica è proseguito poi durante la quarta serata del festival. Amadeus e Fiorello lo hanno omaggiato con una lunga standing ovation alla quale sono stati aggiunti i videomessaggi di Stefania Sandrelli (“Vincenzo ti mando 24mila baci”); di Vasco Rossi (“Grazie per la passione messa nel raccontare la musica italiana, senza esterofilia esagerata, con una sensibilità e profondità rari”); e di Roberto Benigni (“tu non sei un inviato a Sanremo tu sei un cantante di Sanremo, i festival li hai vinti tutti tu”). Vincenzo Mollica, classe ’53, è una delle figure più note del giornalismo televisivo italiano. Musica, cinema, fumetti, Mollica è stato per almeno venticinque anni l’apostrofo leggero, giocoso e appassionato all’interno del serioso TG1 dell’ammiraglia democristiana. DoReCiakGulp, il titolo della rubrica settimanale che Mollica ha tenuto dal 1998 in avanti all’interno del telegiornale del primo canale, ha ricoperto all’ennesima potenza quel suo spaziare buffo, gentile ed entusiastico tra le pieghe dello star system italiano dello spettacolo.

Federico Fellini, Raffaella Carrà, Adriano Celentano, Lucio Dalla, Luciano Pavarotti, Alberto Sordi, quando ancora i talk asfissianti ad ogni ora del giorno non c’erano, Mollica era già a venti centimetri da loro pronto ad intervistarli con un sorriso bonario e davanti ad una magica, infinita pazienza altrui. Rilassato, devoto, appassionato e festante il ragazzone che era entrato in Rai al TG1 nel 1980, papà amico di Benigno Zaccagnini, diploma al classico e una laurea in giurisprudenza, fece subito capire di che past(osit)à era fatto svisando tra Walt Disney (forse la sua più grande passione), De Gregori e Nanni Moretti. Un salto qui, un salto là, un salto oltre di là, Mollica diventa persino un personaggio del mondo di Topolino, Vincenzo Paperica. Inviato a Sanremo, appunto, dal cosiddetto balconcino dove intervista, of course, ogni celebrities del Festival, a partire dal testare l’umore dei conduttori a pochi minuti dalla diretta. Ma Sanremo non è l’unico festival a cui partecipa Mollica. Perché ci sono quelli di cinema, Venezia a Cannes, e diversi speciali per gli Oscar da Los Angeles, a renderlo altrettanto popolare. Come raccontò Clemente Mimun tempo addietro Mollica non ha mai voluto abbandonare il suo ruolo e il suo spazio da cronista nemmeno quando gli offrirono la vicedirezione di TG1 e TG2. Mollica era diventato un tutt’uno, un confidente ideale e bonario per gli artisti italiani, senza se e senza ma. Una versione parecchio soft, priva di asperità critiche che produsse perfino un sostantivo ad hoc il “mollichismo”.

Eppure Mollica è sempre stato così e l’ha sempre dichiarato: non ho mai voluto fare il critico. Così gli italiani hanno imparato a conoscerlo e a seguirlo. Nei suoi servizi registrati la voce fuori campo sempre di rincorsa, sempre un po’ in affanno, sempre un po’ urlata ha commentato mille film, album musicali e strisce disegnate che nemmeno in certe riviste di settore. Celebre, tra le tante, la non intervista a Jack Nicholson nel 1997 che fugge nei corridoi di un hotel senza concedersi e Mollica che però commenta con frasi roboanti e significative attribuite all’attore che l’audio originale non ci farà mai sentire. Entusiasta davanti alle star come i ragazzini davanti ai calciatori, Mollica per tanti di loro è stato amico sincero, confidente fraterno. “Sono sempre stato interessato agli artisti come persone, all’umanità che portano con sé. Nella mia vita ho capito che i veri grandi artisti sono sempre semplici, non hanno bisogno di sovrastrutture, di impalcature su cui reggersi perché quello che hanno dentro arriva in maniera diretta. Quello è fare arte”, spiegò una volta a Repubblica. E ancora nel suo lungo iter giornalistico le tante serate sanremesi. Lui che aveva iniziato con De Gregori, De Andrè, Guccini e Dalla nei primi anni ottanta si ritrova alla sua prima edizione quando vince Alice con Per Elisa. Citerà sempre la frase che gli fornì il patron Gianni Ravera: “Una canzone per vincere deve essere liberatoria come una bella pisciata”. Negli ultimi tempi Mollica ha diradato un po’ le sue apparizioni in pubblico e di recente ha prestato la voce a un divertente pupazzetto modello Muppet in VivaRaiPlay di Fiorello.

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