Il Copasir lancia un allarme preoccupante sul rischio che le aziende cinesi che operano nel 5G in Italia possano girare al loro governo “informazioni e dati sensibili riconducibili a cittadini, enti e aziende italiani”. E il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro raccoglie, assicurando che Palazzo Chigi “non potrà non tener conto” della relazione del comitato di controllo sull’attività dei servizi segreti. Sul tavolo c’è ancora una volta il ruolo di produttori come Huawei nello sviluppo della nuova tecnologia wireless 5G in Italia. Giovedì il comitato ha messo nero su bianco i timori che la tecnologia dei prossimi anni, nelle mani sbagliate, possa diventare lo strumento per colpire le infrastrutture del paese. “Il governo non potrà non tener conto della relazione del Copasir sui rischi della tecnologia 5g in tema di sicurezza nazionale”, ha risposto l’esponente M5s. L’esecutivo giallorosso, appena insediato, ha deciso di esercitare il golden power limitandosi però a chiedere informazioni su forniture cinesi acquistate da alcuni operatori.

Nella relazione “sulle politiche e gli strumenti per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica, a tutela dei cittadini, delle istituzioni, delle infrastrutture critiche e delle imprese di interesse strategico nazionale”, approvata all’unanimità e consegnata al Parlamento, il Copasir arriva alla conclusione che “il Governo e gli organi competenti in materia dovrebbero considerare molto seriamente, anche sulla base di quanto prevede la recente disciplina dettata dal decreto-legge n. 105/2019, la possibilità di limitare i rischi per le nostre infrastrutture di rete, anche attraverso provvedimenti nei confronti di operatori i cui legami, più o meno indiretti, con gli organi di governo del loro Paese appaiono evidenti“. Il governo deve dunque valutare la possibilità di “escludere” le aziende cinesi “dall’attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G”.

Questo perché le “pur significative” esigenze commerciali e di mercato, “fondamentali in un’economia aperta”, “non possono” in alcun modo “prevalere su quelle che attengono alla sicurezza nazionale, ove questa sia messa in pericolo”, scrive il Copasir. E dopo mesi di audizioni – sono stati sentiti i vertici della sicurezza, autorità politiche, responsabili di aziende di tlc, compresi i rappresentanti di Huawei – il Comitato ritiene che “non si possono non ritenere in gran parte fondate le preoccupazioni circa l’ingresso delle aziende cinesi nelle attività di installazione, configurazione e mantenimento delle infrastrutture delle reti 5G”. E dunque, “oltre a ritenere necessario un innalzamento degli standard di sicurezza idonei per accedere alla implementazione di tali infrastrutture, si dovrebbe valutare anche l’ipotesi, ove necessario per tutelare la sicurezza nazionale, di escludere le predette aziende dalla attività di fornitura di tecnologia per le reti 5g”.

Sui possibili rischi, dice ancora il Copasir, i rappresentanti di Huawei Italia hanno sostenuto che un’eventuale debolezza del sistema italiano è da ricercare “non nella rete predisposta dal fornitore, quanto dalla eventuale insufficienza degli elementi di protezione dei dati“. In ogni caso, in relazione ai rapporti con le autorità cinesi, i rappresentanti italiani dell’azienda hanno sostenuto che “non sussiste una normativa interna che autorizzi entità, agenzie o strutture del Governo a indurre i produttori alla installazione di apparati software o hardware”. Una posizione che la nostra intelligence ha respinto. Aisi e Aise hanno infatti spiegato, si legge nella relazione, che “in Cina gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possono fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese, e ciò sulla base di specifiche disposizioni legislative”. Senza contare che “la Cyber Security Law prevede che gli operatori di rete debbano fornire supporto agli organi di polizia e alle agenzie di intelligence nella salvaguardia della sicurezza e degli interessi nazionali”.

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