Contestato ancora prima di essere eletto. Abdelmadjid Tebboune, ex primo ministro sotto Abdelaziz Bouteflika, è il nuovo capo di Stato dell’Algeria. Ha ottenuto il 58% dei suffragi, ma soltanto il 39% degli algerini è andato a votare secondo i primi dati diffusi dall’Autorità nazionale indipendente per le elezioni (Anie). Il tasso di partecipazione più basso della storia del paese. Persino meno nel 2014, quando Abdelaziz Bouteflika venne rieletto per un quarto mandato in assenza di una reale opposizione politica. Dalle dimissioni dell’ex presidente al potere dal 1999, gli algerini non hanno mai smesso di chiedere una reale transizione democratica. L’hirak, il movimento di protesta nato il 22 febbraio che ha ottenuto la storica caduta di Bouteflika, ha continuato a scendere in piazza per nove mesi. Così ha fatto anche il giorno delle presidenziali.

“No al voto”, “i nostri sogni non entrano nelle vostre urne”, “un solo eroe, il popolo”. Sono solo alcuni tra le centinaia di slogan esposti dai manifestanti che hanno riempito le piazze di Algeri e delle principali città del paese ventiquattro ore prima dell’apertura dei seggi, riuscendo ad aggirare imponenti presidi di polizia. Mentre la televisione di stato riprendeva le mura del palazzo presidenziale in attesa del futuro inquilino, a poche centinaia di metri migliaia di persone hanno marciato contro un’elezione considerata come “illegittima”, “telecomandata”, “fittizia”. Nessuno tra i cinque candidati emersi in questi ultimi mesi rappresenta le aspirazioni del movimento che chiede una reale transizione democratica, una nuova Costituzione, lo stato di diritto. Ma soprattutto la fine di quel “sistema” che si protrae dall’indipendenza dell’Algeria nel 1962.

Nuove elezioni, vecchi volti
Eppure i candidati Azzedine Mihoubi (7%), Abdelkader Bengrina (17%), Ali Benflis (10%), Abdelaziz Belaïd (6%) e lo stesso Abdelmadjid Tebboune ne fanno parte. Tutti, durante vent’anni di pugno di ferro di Abdelaziz Bouteflika, sono stati suoi ministri o collaboratori. Anche il neoeletto presidente non è un volto nuovo per gli algerini. Tebboune, 74 anni in un paese dove l’età media non supera i 25, è stato primo ministro nel 2017 e rappresenta la burocrazia di Stato. Ma soprattutto, è considerato un fedele di Ahmed Gaid Salah, il generale dell’esercito che impugna le redini del paese da nove mesi.

“Una foto li ritrae insieme nel 2017: il generale accende la sigaretta a Tebboune. Si tratta indubbiamente del suo candidato”, ricorda Moussaab Hammoudi, ricercatore all’Ecole des hautes études en sciences sociales (Ehess) di Parigi e specialista della politica algerina. Il militare Gaid Salah ha più volte dichiarato che le elezioni presidenziali “sono la sola ed unica via d’uscita possibile per l’Algeria”, rifiutando qualsiasi alternativa, ignorando le condizioni richieste dai rappresentanti della società civile. Così, un compromesso tra hirak ed esercito non è stato possibile.

Irregolarità durante il voto
“Dopo l’annullamento delle due precedenti elezioni, lo scrutinio di aprile e quello di luglio, per Ahmed Gaid Salah era l’ultimo tentativo possibile. Ma come può il nuovo presidente esser considerato legittimo?”, si chiede lo specialista Hammoudi. Vari incidenti hanno caratterizzato la giornata del 12 dicembre. Il voto è stato sospeso in un seggio di Algeri dopo l’intrusione di alcuni manifestanti. Lo stesso è accaduto in altre città della regione della Cabilia, come a Bejaia e Tizi Ouzou, dove i manifestanti si sono impadroniti delle urne: le immagini dei bollettini di voto che volano nel cortile di un seggio è rapidamente diventata virale. In queste due regioni il voto è stato sospeso. E il tasso di (non) partecipazione è record: l’Autorità nazionale indipendente per le elezioni ha registrato lo 0%. Oltre alla chiusura di alcuni seggi già durante la mattinata, centinaia di persone sono state fermate durante le proteste anti-voto. “Soltanto nella provincia di Oran, più di 300 persone sono state arrestate. Altre 54 hanno subito la stessa sorte a Tizi Ouzou, durante la notte”, segnala il Comitato nazionale per la liberazione dei detenuti. Eppure, come già annunciato da diversi manifestanti, le proteste non intendono fermarsi con l’elezione del nuovo presidente. “Stiamo assistendo a una vera e propria escalation della tensione”, constata ancora Hammoudi. Mentre le rivendicazioni della strada aumentano, “gli algerini hanno capitalizzato l’esperienza delle altre piazze del mondo arabo. I manifestanti resteranno pacifici e continueranno a chiedere la fine del sistema”.

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