“La magistratura pretende di decidere cosa è un partito e cosa no“. Ancora: i pm “hanno fatto un’invasione di campo”. E “trecento finanzieri all’alba in casa di persone non indagate sono una retata”. Dopo le conferenze stampa, le interviste e le dirette Facebook, Matteo Renzi ha scelto il Senato per attaccare di nuovo i magistrati per l’inchiesta sui finanziamenti alla fondazione Open che ha sostenuto, tra le altre cose, la Leopolda. E lo ha fatto appellandosi a due precedenti storici, il caso Lockheed che ha portato alle dimissioni del presidente Leone nel 1978 e il discorso di Craxi del ’92, ma citandoli a suo piacimento e non ricordando la storia completa. “Se al pm affidiamo non già la titolarità dell’azione penale, ma dell’azione politica”, è stato il cuore del suo discorso, “questa Aula fa un passo indietro per pavidità e lascia alla magistratura la scelta di cosa è politica e cosa non lo è”. Poco più di una settimana fa il partito Italia viva aveva chiesto e ottenuto di far convocare un dibattito urgente sul finanziamento ai partiti in Parlamento: una discussione costruita intorno a un unico interlocutore, appunto il senatore ed ex premier Pd. Che ha potuto così ribadire, di fronte a un’Aula mezza vuota, il suo attacco ai pm che stanno conducendo l’inchiesta, accusandoli tra le altre cose di “violazione sistematica del segreto d’ufficio su vicende personali del sottoscritto”. Renzi però se l’è presa anche, di nuovo, con i giornalisti: “Per distruggere la reputazione di un uomo può bastare la copertina di qualche settimanale”, ha detto. Un riferimento chiaro allo scoop de l’Espresso sul prestito da 700mila euro di uno dei finanziatori di Open, nonché nominato da Renzi in Cassa depositi e prestiti, allo stesso Renzi per l’acquisto della sua villa a Firenze.

Le dimissioni di Leone citate senza ricordare la condanna del ministro della Difesa Tanassi – “Qui oggi”, è stato l’esordio del senatore, “stiamo discutendo della separazione dei poteri”. Quindi ha continuato parlando di se stesso in terza persona: “Chi tra di noi ha avuto l’altissimo onore di guidare anche il potere esecutivo, ha una responsabilità in più. Non è la prima in cui un ex presidente del Consiglio, nell’Aula del Parlamento, affronta questo tema”. Il leader di Italia viva ha iniziato citando addirittura Aldo Moro e la sua frase “Non ci lasceremo processare nelle piazze“, pronunciata in riferimento al caso Lockheed: “Nel ’77 il presidente Moro alla Camera utilizzò parole notevoli nei confronti di altre forze politiche e di chi voleva processare nelle piazze il suo partito. Le ripetiamo e ce le diciamo. Andò così? Impariamo dalla storia”. Renzi ha continuato dicendo che “la vicenda Lockheed ha segnato per la conseguenza più alta, le dimissioni di Giovanni Leone dal Quirinale non perché coinvolto ma per uno scandalo montato ad arte dai media e parte della politica. Per distruggere la reputazione di un uomo può bastare una copertina di un settimanale. Peraltro, i tempi cambiano ma il settimanale rimane… Per recuperare non ci si riesce facilmente”. Renzi qui se l’è presa di nuovo con l’Espresso, colpevole (secondo l’ex premier) di scrivere notizie sul suo conto, però ha dimenticato di dire che, proprio per lo scandalo Lockheed, venne condannato per corruzione nel 1979 l’allora ministro della Difesa Mario Tanassi. L’accusa era quella di aver ricevuto tangenti nell’ambito della vendita all’Italia di 14 aerei militari appunto della Lockheed.

La scelta di ricordare le parole di Craxi e l’abbraccio della figlia Stefania: “Matteo vieni ad Hammamet” – Come secondo esempio, Renzi si è quindi appellato alle parole di Bettino Craxi. Ma non un discorso a caso: ha scelto il celebre intervento del segretario Psi, tenuto in piena tangentopoli, che segnò la fine della Prima Repubblica, quando disse che “buona parte del finanziamento politico ai partiti è irregolare od illegale”. “Non voglio aprire un dibattito sulla figura politica di Craxi, ma il 3 luglio del ’92 pronunciò un discorso molto citato e poco letto, chiamò in causa tutto l’arco costituzionale e disse che larga parte del finanziamento ai partiti era illecito o irregolare. In quel discorso Craxi disse, ‘ho imparato ad avere orrore del vuoto politico‘. Di questo discutiamo, non di finanziamento illecito ma di debolezza della politica“. Anche nel ricordare Craxi, Renzi ha dimenticato di ricordare che il segretario del Psi è morto da latitante in Tunisia nel 2000. Al momento del decesso, il politico aveva: due condanne definitive per 10 anni di reclusione (5 anni e 6 mesi per la corruzione dell’Eni-Sai e 4 anni e 6 mesi per i finanziamenti illeciti della Metropolitana milanese). Alle quali aggiungere altre condanne provvisorie, in primo e in secondo grado, per circa quindici anni (3 anni in appello per Enimont, 5 anni e 5 mesi in Tribunale per Enel, 5 anni e 9 mesi annullati con rinvio dalla Cassazione per la bancarotta del Conto protezione); e poi due assoluzioni (Cariplo e, a Roma, Intermetro) e una prescrizione (in appello per All Iberian). E, da non dimenticare, aveva ricevuto tre ordinanze di custodia cautelare, i cui procedimenti al momento della morte non erano stati definiti: Enel, fondi neri Eni e fondi neri Montedison.

Dopo il discorso in Aula, mentre era in Transatlantico, Renzi ha incontrato la figlia di Bettino Craxi, Stefania, e senatrice Fi. Che lo ha ringraziato di aver citato il discorso del padre Bettino (”Sei stato bravo, hai fatto bene”). “Ho studiato tutto il discorso del ’92, soprattutto quello sull’Europa e sui migranti, che erano poco note”, ha detto Renzi. L’esponente azzurra si è congedata con un invito: “Renzi vieni ad Hammamet”. L’ex premier non ha risposto. Quando poi un cronista gli ha chiesto se accetterà l’invito della figlia di Craxi, ha replicato con un ”no” e poi, scherzando, ha aggiunto: “Non vorrei che al termine di questo dibattito di oggi in Aula, che il titolo fosse ‘Renzi cita Craxi e va ad Hammamet”.

L’autodifesa di Renzi: “Il punto è che può accadere a ciascuno di voi”
Dopo le citazioni dei casi dei due predecessori, Renzi ha iniziato con la difesa su tutta la linea in merito all’inchiesta sulla fondazione Open. “Io rivendico il fatto”, ha continuato, “che sia stato abolito il finanziamento pubblico, ma se si sanziona il privato che offre dei contributi il cittadino non darà mai più un centesimo. E’ un ipocrita chi dice che non servono i soldi alla politica; servono quelli leciti e puliti”. E qui, secondo Renzi: “Non si parla di dazioni di denaro nascoste o illecite, ma di contributi regolarmente bonificati e tracciabili, trasparenti ed evidenti da un bilancio che viene reso totalmente pubblico dalla Fondazione Open. Questi contributi regolari sono stati improvvisamente trasformati in contributi irregolari perché si è cambiata la definizione della fondazione: qualcuno ha deciso non era più fondazione ma partito”. Questo sarebbe, sempre secondo l’ex premier il pericolo: “Se questo non è chiaro, il punto è che può accadere a ciascuno di voi”. Poi è tornato a criticare le perquisizioni: “La magistratura decide cosa è partito e cosa no e manda all’alba i finanzieri da cittadini dalla fedina penale intonsa con strumenti più da retata che da inchiesta, e mi dite che è a tutela degli indagati? Questo è finalizzato a descrivere come criminale non il comportamento dei singoli ma qualsiasi finanziamento privato che venga fatto in maniera legale e regolare”. Ma la sua accusa va oltre. Nella vicenda legata alla fondazione Open, “c’è stata una violazione sistematica del segreto d’ufficio sulle vicende personali del sottoscritto. Chi dice che la privacy vale sono per qualcuno e non per altri viene meno allo stato di diritto e siamo alla barbarie”.

Non contento Renzi ha poi criticato il Consiglio superiore della magistratura per aver dichiarato che le sue “parole delegittimano i magistrati di Firenze”: “Chi si permette di parlare, viene censurato dai togati del Csm. Dico ai membri togati che censurano un senatore, che non mi risulta sia stato abrogato l’articolo 68 della Costituzione che dice che i membri del Parlamento non sono chiamati a rispondere delle posizioni espresse”. E ha chiuso: “Avere rispetto per la magistratura è riconoscere che magistrati hanno perso la vita per il loro impegno. A loro va il massimo rispetto. Ci inchiniamo davanti a queste storie. Ma a chi oggi volesse immaginare che questo inchino diventi una debolezza del potere legislativo si abbia la forza di dire: contestateci per le nostre idee o per il Jobs act ma chi volesse contestarci per via giudiziaria sappia che dalla nostra parte abbiamo il coraggio di dire che diritto e giustizia sono diversi dal giustizialismo“.

Di Nicola (M5s): “La storia va raccontata nel modo giusto, Leone non si dimise per uno scandalo montato dai media”
Al termine dell’intervento di Renzi è intervenuto il senatore M5s Primo Di Nicola, ribadendo la richiesta del Movimento che si faccia una commissione di inchiesta sul finanziamento ai partiti: “Ben venga e finalmente”, ha esordito in Aula. “Facciamola, questa commissione. Così capiamo i rapporti della Lega con la Russia e che fine hanno fatto i 40 milioni del Carroccio che nessuno sa dove siano finiti. Aspettiamo i risultati della indagini e auguriamo a Renzi di chiarire in tribunale quello che oggi ci ha detto. La politica costa, ma ci sono anche buoni esempi: si può fare raccogliendo i soldi dei cittadini con l’autotassazione. Io sono arrivato in Parlamento con 35mila euro, quelli che voi spendete in una cena. La Corte dei conti controlli il finanziamento dei partiti”.

Di Nicola ha anche però replicato a Renzi nel merito delle citazioni storiche fatte dal senatore. Proprio Di Nicola, giornalista de l’Espresso, fu tra quelli che lavorarono alle inchieste che poi portarono alle dimissioni di Leone: “Anche la storia degli scandali va raccontata nella maniera giusta”, ha detto, “e voglio ricordare, per fare giustizia alle persone che non ci sono più, che non è vero che il presidente della Repubblica Leone fu costretto a lasciare il Quirinale ‘in ragione di uno scandalo montato ad arte dai media in relazione al caso Lockheed’. Voglio dire al senatore Renzi che Leone fu costretto a dimettersi per richiesta del suo partito non per le mazzette del caso Lockheed ma per le inchieste fatte da l’Espresso che documentarono che le sue dichiarazioni dei redditi non giustificavano le spese avute nel frattempo”. E ha chiuso: “Io voglio rendere omaggio al senatore Leone senza scusarlo e non condivido le scuse partite una decina di anni fa in quest’Aula. Si dimise. E so che risulta strano, c’era nella Prima Repubblica chi si dimetteva per una questione di dichiarazione dei redditi, mentre qui abbiamo avuto inquisiti condannati che hanno saccheggiato le istituzioni e voi ancora li difendete“.

Per il Partito democratico aveva parlato poco prima di Renzi, il senatore Luigi Zanda: “Non sono mancati in passato gli errori e le malefatte di alcuni che hanno fatto danni”, ma un sistema di finanziamento pubblico dei partiti “è necessario”. “Un finanziamento è necessario, che lasci ai cittadini la scelta di sostenere economicamente i partiti. Non è l’ammontare a dover essere discusso quanto la relazione tra i finanziamenti e la democrazia e il rischio di una politica che non combatte sulle idee ma si è adattata al web ed ai social che presuppongono l’uso di costose piattaforme e di spin doctor. Una martellante politica di denigrazione personale e di fake news”, ha detto. Al termine ha quindi preso la parola Emma Bonino: “I processi si fanno in tribunale, né sulla carta stampata né su Facebook né da nessuna altra parte e la presunzione di innocenza deve essere un caposaldo non a fasi alterne ma che difende tutti i cittadini. Sta ad altri provare la colpevolezza, non a noi provare l’innocenza. In questo momento di confusione generale questi principi saldi pare non esistano più, lo vediamo nella prescrizione e in altri aspetti preoccupanti di una politica sulla giustizia manettara o di inasprimento delle pene”.

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