”In Italia non si dà fiducia ai giovani. Non si dà nella ricerca e neanche in generale. Non si premiano le competenze e l’ascensore sociale è immobile. In più mi sembra che la solidarietà tra donne sia poco diffusa”. Marta Paterlini, 50 anni, giornalista scientifica e senior scientist al Karolinska Institute di Stoccolma, parla così dopo avere girato mezzo mondo. Europeista convinta, ha lasciato l’Italia 22 anni fa, quando ha deciso di finire all’Università di Cambridge un dottorato in Neuroscienze che aveva iniziato alla facoltà di Medicina di Brescia. “Non ho rancore per l’Italia, e sono convinta che il sistema educativo italiano sia di altissimo livello. Ma molte professioni, dall’insegnante al medico, sono state svilite. E la mia breve esperienza mi ha fatto capire che non sarei mai riuscita a sopravvivere nell’ambiente universitario italiano, perché bisognava adattarsi all’umore del barone di turno”.

Così, dopo il dottorato è volata a New York per un post-doc alla Rockefeller University, e negli Usa è diventata mamma per la prima volta. Pochi anni dopo è approdata Stoccolma, dove oggi vive da 14 anni e si occupa di Neurogenesi umana nel laboratorio di Medicina regenerativa di Jonas Frisen. ”Dal punto di vista professionale, qui ho accesso a know-how, tecnologie e servizi eccezionali. La Svezia è uno dei paesi che investe di più in ricerca e nel mio settore è una nazione leader in Europa insieme al Regno Unito”. Ma la differenza con l’Italia si vede anche nella burocrazia. “Se guardiamo maternità e paternità, il welfare è molto generoso. Asili garantiti e dai costi proporzionati rispetto allo stipendio, medici e dentisti gratis per i minori. Scuola gratis, sia pubblica che privata. Lo Stato assegna un bonus per ogni figlio che dopo i 16 anni passa direttamente all’adolescente”. Per come la descrive Marta, la Svezia “è il paradiso per i bambini”. Ma in realtà sembra esserlo anche per i genitori, specie per chi come lei è divorziato: “Credo che in nessun altro posto al mondo potrei lavorare full-time in Accademia tanto serenamente come single mum. Tutto quello che posso, lo faccio tranquillamente da casa”.

Ogni città in cui ha vissuto è stata un tassello importante della sua vita: a Cambridge ha scritto un libro, a New York ha avuto una bambina, a Stoccolma la seconda. L’Italia resta casa. ”Non sono scappata e una parte di me tornerebbe domani. Poi guardo le mie due figlie e penso a malincuore che l’Italia non sia un paese per giovani e neanche per giovani donne”. La Svezia invece lo è. La maternità, per esempio, non è un ricatto né un ostacolo alla carriera. “La famiglia è vista da tutti come una ricchezza per il paese, l’annuncio di una gravidanza è sempre accolto con positività. È uno dei paesi più progrediti dal punto di vista della parità di genere e quando ci si accorda per fissare una riunione è normale scegliere ora e data in base agli impegni di chi è genitore, uomo o donna che sia”.

Le storture, però, non mancano. “Stoccolma è una città multietnica ma ghettizzata. Gli stranieri vivono in periferia e i ruoli professionali di alto livello sono ancora squisitamente svedesi. Ai vertici, dove si prendono decisioni, i non svedesi hanno poco accesso”. Cinque anni a New York le sono serviti per capire che in questo senso invece gli Stati Uniti sono aperti e che, a differenza della Svezia, per i ruoli apicali non si fa differenza tra locali e stranieri. Viaggiando, poi, ha imparato cosa vuol dire essere europei: “Le persone danno per scontate troppe conquiste civili e sociali che l’Europa ha raggiunto dopo due guerre mondiali. In questi anni mi sono sentita molto europea, e con una figlia nata negli Usa e una in Scandinavia, mi fa male constatare indifferenza verso l’atteggiamento xenofobo e antieuropeista che oggi c’è in Italia”.

Le sue ragazze, cresciute in Svezia, hanno pochi anni in meno di Greta Thunberg, e hanno visto nascere il movimento Fridays for future. “Greta – dice Marta – è l’idolo delle mie figlie. Certo, le sue idee andrebbero portate avanti soprattutto dagli adulti e non sempre questo avviene. La Svezia è un paese supergreen: la famiglia media di Stoccolma non ha l’auto e se ne ha bisogno per andare fuori porta la noleggia. I treni invece funzionano meglio in Italia. Stare immersi nella natura fa parte dello spirito dello svedese, e anche per questo le industrie sono molto più avanti nell’innovazione ecologica”. Malgrado la nostalgia degli affetti, Marta non ha molti dubbi. “Amo l’Italia – dice – ma professionalmente, a questo punto, credo sia impossibile ritornare”.

A conti fatti, quello che anche all’estero la conforta è una consapevolezza: “In Italia c’e’ quello che io chiamo il valore aggiunto: una sorta di calore umano che non esiste altrove”. E un messaggio per i futuri expat: “Più passa il tempo e più mi arrabbio con gli italiani più giovani di me che sono andati via da poco e si lamentano sia del loro paese di origine che di quello adottivo. Gli italiani in questo sono dei lagnoni. Se si sceglie una vita all’estero per questioni personali o professionali, è bene vivere il presente cercando di prendere il meglio del nuovo paese, arricchiti delle proprie origini”.

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