Emergenza e piani nazionali climatici. Ruoterà attorno a questi due focus la Conferenza mondiale sul clima (Cop 25), che si apre oggi (2 dicembre) a Madrid (dopo che il Cile ha rinunciato a organizzarla a causa dei recenti disordini interni, pur mantenendone la presidenza) e alla quale partecipano 196 Paesi, oltre all’Ue. Ma mentre l’emergenza è una certezza, i piani che gli Stati devono aggiornare ogni cinque anni, altrimenti noti come Ndc (Nationally Determined Contributions), lo sono molto meno. Eppure, come ricordato solo due mesi fa dal segretario generale dell’Onu, António Guterres, nel corso del Climate Action Summit delle Nazioni Unite che si è svolto New York, ad oggi le azioni concrete sono l’unica cosa che conta. Più di qualsiasi allarme, più di qualsiasi annuncio o promessa. Anche perché se è tra un anno esatto, a novembre 2020, in occasione della Cop26 che si terrà a Glasgow, in Gran Bretagna, che i Paesi che hanno sottoscritto l’accordo di Parigi dovrebbero indicare nuovi ulteriori impegni di riduzione dei gas serra da raggiungere entro il 2030, è pur vero che il direttore esecutivo dell’Agenzia per l’Ambiente dell’Onu (Conferenza mondiale sul clima, la principale autorità mondiale in materia), Inger Andersen, presentando nei giorni scorsi il nuovo rapporto, ha avvertito: “Non si può aspettare sino alla fine del 2020”.

IL RUOLO DELLA CONFERENZA – Le Nationally Determined Contributions, ossia proprio quei piani nazionali climatici che indicano gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che ogni Stato si pone, sono state inviate nel 2015 all’UNFCCC, la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. Il 2015 è anche l’anno dell’Accordo di Parigi (che rafforza la Convenzione) e dell’impegno di tutte le nazioni a ridurre a zero le emissioni entro il 2050 per contenere l’aumento medio della temperatura globale (fra 1,5 e 2 gradi centigradi) rispetto ai livelli pre-industriali. La Conferenza sul clima ha proprio l’obiettivo di assicurarsi che Convezione e Accordi di Parigi vengano implementati.

I PIANI DEGLI STATI SONO INADEGUATI – Dal 2015, però, diversi studi internazionali hanno mostrato che gli obiettivi che si sono posti gli Stati, anche qualora fossero rispettati, si rileverebbero insufficienti rispetto a un aumento di temperatura destinato a superare la soglia dei 2 gradi. Così alla Cop 23 di Bonn, nel 2017, si è cercato di lanciare un monito agli Stati per rendere gli obiettivi più ambiziosi. Poi, poco più di un anno fa, la pubblicazione del rapporto Global Warming del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), con un esito senza sconti: “Se si dovesse continuare a emettere CO2 ai ritmi attuali, ci si attende che la temperatura del pianeta superi il grado e mezzo di aumento già tra il 2030 (ossia fra appena 11 anni) e il 2052”. Una doccia fredda, probabilmente, per i non addetti ai lavori, che ha dato però uno slancio mai visto prima alla mobilitazione mondiale.

POSIZIONI E CONTRADDIZIONI – Ma se Ue, Cina e India mostrano la volontà di fare di più, possono tirarsi dietro tanti altri Paesi. Nel frattempo, infatti, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto la revoca dall’Accordo di Parigi, mentre discutibile è la posizione assunta del presidente brasiliano Jair Bolsonaro anche di fronte alla distruzione della foresta amazzonica. Il caso del Paese sudamericano è emblematico. Perché mentre il presidente della Repubblica, in polemica con alcune nazioni Ue ha già minacciato di abbandonare l’Accordo di Parigi, secondo il suo ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles, il Paese sarebbe invece “un modello di conservazione ambientale”, tanto da meritare di ricevere “almeno 10 miliardi di dollari l’anno” dei 100 annuali promessi dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo proprio ai sensi dell’Accordo di Parigi. Una richiesta di aiuti finanziari che sarà ufficializzata proprio alla Cop 25. Ma il caso del Brasile è solo un nodo, per quanto importante, tra i tanti da sciogliere. Solo che non c’è più tempo e stavolta la tabella di marcia l’ha data proprio l’Agenzia per l’Ambiente dell’Onu, secondo cui il mondo è diretto entro la fine del secolo verso un aumento medio della temperatura di 3,2 gradi dai livelli pre-industriali. Siamo ben oltre la soglia indicata dall’Ipcc.

COSA DEVONO FARE I PAESI SECONDO L’UNEP – Le emissioni, ricorda lo studio ‘Emission Gap 2019’ dell’Unep, sono aumentate dell’1,5% all’anno nell’ultimo decennio, nonostante l’aumento dell’azione sul clima. Le emissioni globali di gas serra sono salite a 55,3 gigatonnellate di CO2 equivalente nel 2018, e vanno tagliate del 7,6% ogni anno dal 2020 al 2030, per contenere entro fine secolo l’aumento medio della temperatura a 1,5 gradi, come auspicato dall’Accordo di Parigi. Le strade sono due: se si punta a contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 gradi, gli Stati devono triplicare i livelli degli obiettivi climatici (Ndc); se invece si punta a +1,5 gradi, gli sforzi devono essere quintuplicati. E non si può aspettare ancora un anno, ossia la Cop 26, dice sempre l’Unep. Dalle città alle regioni, agli Stati, dai singoli alle piccole comunità, alle aziende, “ciascuno deve agire adesso” tagliando i gas serra quanto più possibile e quanto prima. Altrimenti “l’obiettivo dell’1,5 sarà ormai fuori portata prima del 2030”, perché ogni anno di ritardo oltre il 2020 comporta la necessità di tagli più rapidi, che diventano più costosi, improbabili e poco pratici. A che punto è la situazione? I paesi del G20 rappresentano in totale il 78% di tutte le emissioni, ricorda l’Unep, ma solo cinque si sono impegnati a raggiungere zero emissioni entro il 2050. Attualmente, come ribadito anche dall’Onu – sono insufficienti gli sforzi fatti dagli Stati per raggiungere i tre principali obiettivi climatici, ossia ridurre le emissioni del 45% entro il 2030, raggiungere la carbon neutrality entro il 2050 e stabilizzare l’innalzamento della temperatura mondiale a 1,5 gradi Celsius entro la fine del secolo.

I TEMI SUL TAVOLO – Alla Cop 25 i temi delle negoziazioni vanno dai ‘Mercati del carbonio’ a ‘Perdite e danni’, dagli ‘Allarmi della Scienza’ al futuro della ‘Action agenda’ che allarga gli impegni fra gli altri a città ed aziende, al ‘Green climate fund’, cioè gli aiuti ai paesi in via di sviluppo. Nei dieci giorni di incontri fra diplomatici e funzionari, Onu e Cile (che mantiene la presidenza dell’evento), che guidano l’Alleanza per l’ambizione climatica, spingeranno i governi a impegnarsi con obiettivi e piani più ambiziosi per tagliare i gas serra. Sono, infatti, più di 70 i Paesi che New York si sono impegnati per emissioni net zero carbon entro il 2050, anche se i principali emettitori non lo hanno ancora fatto. Intanto, gli impatti climatici sempre più devastanti si fanno sentire: si pensi all’acqua alta a Venezia o agli incendi delle foreste dell’Amazzonia e in Australia. Ma le emissioni di gas a effetto serra continuano ad aumentare.

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