Il ministro 5 stelle Stefano Patuanelli, a cui è stato chiesto se il governo pensava a una nuova Iri per i casi Alitalia, Ilva ecc., così ha risposto: “Se serve assolutamente sì. Pronti a farlo in un momento in cui è necessario proteggere le nostre imprese e la produzione industriale del Paese”. Il viceministro 5 stelle Stefano Buffagni sullo stesso tema ha però precisato: “Occorre garantire il servizio, i posti di lavoro, gli asset, ma non possiamo continuare a permettere che sia un buco nero delle casse dello Stato”. Certo, non sono posizioni concordi e la seconda può semplicemente essere impossibile. Normale politichese: occorre promettere tutto a tutti.

Poi si vedrà. Ma ricordiamo come l’Iri “storica” ha funzionato: solo per un periodo, in altri tempi, e con l’economia sostanzialmente chiusa. Poi si è degradata in un carrozzone politico mangiasoldi, e l’Unione Europea è nata proprio assumendo che il mercato funzioni meglio dello Stato per garantire la crescita economica, crescita che a sua volta garantisce pensioni, sanità per tutti e via di seguito. Poi l’Europa è formalmente indifferente alla proprietà delle imprese, che può anche essere pubblica. Ma senza alterare il mercato, cioè senza sussidi (poi molti Stati glieli danno lo stesso con le scuse più varie, ma questa è un’altra storia).

Perché il mercato funziona meglio? Per gli incentivi che dà, dicono gli economisti. Se una impresa sa di non poter fallire, non è motivata a fare profitti. Altri obiettivi prevalgono: tipo i voti, l’occupazione, favorire la regione del politico di turno (di nuovo in economichese, si chiama “cattura”).

Ma attenzione: perché il “profitto” è essenziale sempre (cioè devono entrare in cassa parecchi più soldi di quanti ne escano)? Per la semplice ragione che le tecnologie cambiano, la concorrenza cambia, la domanda cambia in quantità, o chiede cose diverse, i manager fanno errori, a volte fatali. Indipendentemente da padroni privati ladri o dementi, occorrono risorse per fronteggiare i cambiamenti. E fronteggiare i cambiamenti, cioè il mondo reale, costa un sacco di soldi. Occorre che vengano accumulati in tempo. Darwin sosteneva che non sono le specie più forti o grandi che sopravvivono, ma quelle che si adattano meglio ai cambiamenti.

Certo, a meno da proteggere l’industria dai cambiamenti, cioè dal mercato: si chiama socialismo. Ed è fallito per quello. Era un sogno bellissimo e civile, ma la gente nella gran parte dei paesi socialisti a un certo punto ha detto, senza spargere sangue, basta così: preferiamo l’incertezza del mercato e quello che crea, piuttosto di uno Stato burocratico e alla fine anche corrotto e oppressivo. Ma veniamo ai casi concreti italiani, che sono diversissimi tra loro. Giusto proteggere i lavoratori se perdono il posto, ma incominciando dai più deboli.

Quelli del settore aereo hanno ottime possibilità di trovar lavoro: quel settore è in rapida crescita. Quelli dell’Ilva son messi molto peggio; è un settore non solo maturo, ma anche da anni in una crisi mondiale di sovraproduzione, e l’Italia deve importare la materia prima, al contrario dei suoi concorrenti. È stata una follia non impostare da subito una strategia di uscita o di radicale modernizzazione, e ci costerà caro. Ma la siderurgia non è un settore strategico per le nostre industrie?

Bisogna lasciare fuori i luoghi comuni e guardare con cura quanto ci costerebbe importare l’acciaio primario, cioè da altoforno, rispetto a importarlo e tenere magari solo la laminazione. La risposta non è tanto ovvia, perché, come si è detto, non è certo un settore innovativo. E l’Ilva è un nano rispetto, per esempio, ai cinesi: 900 milioni di tonnellate contro forse 10.

Della “strategicità” di Alitalia nemmeno a parlarne: produce servizi aerei, non aerei. È ormai irrilevante anche come dimensioni e ci fa solo fare brutte figure internazionali (tutti sanno che vive solo di sussidi pubblici). La concorrenza fa crescere le imprese, i sussidi pubblici sono di solito un “gelato al veleno”, come canta la Nannini. Costano cari ai contribuenti e non spingono le imprese a risanarsi (e perché mai dovrebbero? Il mercato e la concorrenza sono faticosi).

Infine, proprio per questo motivo, una nuova Iri sarebbe infettiva: molte imprese mal gestite si precipiterebbero a farsi salvare con i soldi pubblici. E il buon sapore del protezionismo lo stiamo già gustando con la “guerra dei dazi” che colpisce i nostri prodotti. Non è che l’inizio: siamo un’economia che vive di commercio estero. Speriamo che i nostri sovranisti imparino in fretta.

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