Cultura di destra e cultura di sinistra. Cultura leghista o progressista, cultura fascista o comunista… Attorno al Teatro Stabile del Veneto è scoppiata una guerra, come mai si era combattuta in un’istituzione culturale del Nordest. È cominciato tutto all’inizio di novembre quando il Comunale di Padova ha ospitato Marcello Veneziani con “1919 – I rivoluzionari”, spettacolo che ha raccontato l’avventura di D’Annunzio a Fiume e la nascita, in Italia, dei partiti fascista, comunista e popolare. Qualcuno, come la compagnia Anagoor di Castelfranco, diretta da Simone Derai, aveva annunciato una raccolta di firme per contestare la chiamata del giornalista-scrittore, definendolo un “personaggio controverso che non festeggia il 25 aprile, anzi lo considera la festa delle bandiere rosse e del fossato d’odio tra due Italie”.

La polemica è stata relegata nelle cronache dei giornali locali. Poi è uscito allo scoperto il comico Natalino Balasso, con punzecchiature pubbliche per l’assenza dal cartellone de “La Bancarotta” di Vitaliano Trevisan, tratta da Carlo Goldoni, con Balasso. Fu presentata in uno Stabile, a maggio, ma a Bolzano, non in Veneto. Pronta la replica di Gianpietro Beltotto, presidente del Teatro Stabile del Veneto. “Se non ti piace casa mia, a casa mia non ci vieni”. A quel punto l’attore ha puntato diritto contro la Lega, anche perché Beltotto fu portavoce del governatore Luca Zaia. “A questi qua della Lega non gli frega un c… di dire che si sono impossessati dello Stabile del Veneto e che hanno fatto un editto per non farmi lavorare nelle strutture pubbliche del Veneto (…) questo qua dice una cosa ben più grave e non riguarda me, riguarda la vostra idea politica del qua xe tuto mio. E invece: ‘Il Teatro stabile, Beltotto, non è casa tua!’”.

In campo sono scesi anche i Cinquestelle veneti: “Chi gestisce un’istituzione pubblica non può essere al servizio del potere. Se lo è, va fatto dimettere. La cultura è di tutti, le istituzioni democratiche non ammettono editti e censure”. E ancora: “Beltotto non ha smesso di essere al servizio di Zaia come quando era suo portavoce, ma l’istituzione che presiede non è casa né dell’uno, né dell’altro”.

A quel punto Beltotto è partito a lancia in resta: “L’intellighenzia di sinistra non accetta il fatto che abbiamo aperto anche alla cultura di destra, ma noi diamo spazio a tutti”. Ha sfidato il comico a rendere pubblici i compensi che riceveva, “così capiremo se questo casino senza senso è stato montato per il dispiacere di non incassare più soldi dallo Stabile come in passato”. Beltotto difende l’impronta culturale che ha dato, da quando divenne presidente 13 mesi fa. “Abbiamo aperto a uno spettacolo molto interessante su Ezra Pound: lì ho visto alzarsi i primi cigli. Poi abbiamo ospitato un Arlecchino che non aveva niente a che vedere con l’Arlecchino progressista ed era un Arlecchino del popolo. Allora i cigli si sono levati ampiamente. Infine abbiamo commesso il peccato mortale di chiamare uno dei maggiori intellettuali italiani, Marcello Veneziani e illustri professori universitari ci hanno detto che i fascisti non devono essere invitati a fare cultura”. Altro sassolino: “Quando lo Stabile del Veneto è stato declassato, il signor Balasso l’ha insultato”. Quest’ultimo aveva denunciato “l’atteggiamento da fortino della Lega con la chiamata a raccolta degli artisti veneti”. Ed ecco la chiave politica: “Aver lavorato con Zaia è per me un onore e un privilegio, mentre per altri pare sia una colpa oscura. Questa è gente che punta a delegittimare: se non sei dei nostri, sei dei loro e allora sei una persona immorale…”.

L’ultimo atto è la replica finale di Balasso, che raccoglie la sfida. “Quanto guadagnavo? A consuntivo di paga media giornaliera, poco più di 600 euro lordi, sui quali pagavo le tasse e coi quali dovevo pagarmi viaggi, pasti fuori casa e alberghi. Sfido un altro attore del mio livello a dire che guadagnava meno!”. E poi faceva fare affari d’oro allo Stabile. “Ogni 5mila euro lordi da me incassati ne sono stati prodotti, solo in Veneto, 150mila per lo Stabile. Se poi ha speso tutto quel surplus per pagare la struttura, cioè gente molto meno produttiva di me, e non gli artisti, non so che farci”. E rivela: “Feci una riunione di fuoco per intimare di non fare i costumi a Venezia per una produzione a Padova. Lo Stabile spendeva 1600 euro solo per il trasporto, ma la vecchia abitudine di far costumi a Venezia è tornata l’anno dopo che io me ne sono andato”.

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