“Chi si occupa di odio online sa che oggi chi insulta lo fa spesso con nome e cognome. In più ci sono già gli strumenti giuridici per intervenire in caso di reati, dalla diffamazione alla legge Mancino. E proporre alle piattaforme social di raccogliere tutti i documenti di chi si iscrive pone anche pericoli enormi in termini di cybersecurity“. Giovanni Ziccardi, blogger de ilfattoquotidiano.it e professore di Informatica giuridica alla Statale di Milano bolla come “una sparata inapplicabile” l’idea del deputato di Italia Viva Luigi Marattin, che su Twitter ha annunciato di volere depositare una proposta contro gli haters online.

“Da oggi al lavoro per una legge che obblighi chiunque apra un profilo social a farlo utilizzando un documento d’identità. Poi prendi il nickname che vuoi (perché è giusto preservare quella scelta) ma il profilo lo apri solo così”, ha scritto, riprendendo il post pubblicato poche ore prima dal registra Gabriele Muccino che chiedeva proprio “una legge che obblighi chiunque apra un account social a registrarlo solo tramite l’invio di un documento d’identità“. Il tweet di Marattin ha però scatenato centinaia di commenti critici, in cui decine di utenti gli contestano di essere incompetente. Attacchi a cui Marattin ha risposto: “Come si arrabbiano eh, quando annunci di voler far qualcosa per impedire che il web rimanga la fogna che è diventato (una fogna che sta distorcendo le democrazie, invece che allargarle e rafforzarle). Si mettano l’animo in pace. Il limite è stato superato, ed è ora di agire”.

Ma Ziccardi chiarisce che “chi scrive messaggi di odio online lo fa col suo nome perché vuole ricevere attenzione, like e condivisioni. Basta andare sui profili di Salvini per constatarlo. Di certo – precisa – non si combatte l’odio con la carta di identità”. Marattin poi parla di “profili social”, il che implica – ad esempio – che Facebook e Instagram, piattaforme internazionali, debbano occuparsi, peraltro solo per l’Italia, della raccolta dei documenti di identità per chi vuole iscriversi. “Un aspetto che crea rischi enormi anche in termini di cybersecurity e di furto di identità“. Per rintracciare gli haters, continua Ziccardi, gli strumenti ci sono già, inclusi quelli giuridici. “Più che una proposta – conclude – quella di Marattin mi sembra una minaccia, ‘così sai che sei schedato’. Quello che bisogna fare prima di tutto è abbassare la soglia di tolleranza rispetto ai messaggi d’odio. In questo senso la politica è il primo che veicola messaggi di odio”.

Un aspetto evidenziato anche da Fulvio Sarzana, anche lui blogger de ilfattoquotidiano.it ed esperto di diritto dell’informazione e nuove tecnologie, che solleva piuttosto il problema delle leggi a cui sono sottoposte le piattaforme social, “poco interessate” al tema dei messaggi d’odio. Si tratta però di un nodo cruciale che “non si risolve con la richiesta dell’Italia di raccogliere i documenti di identità di chi vuole semplicemente iscriversi a un social”. “Marattin – dice – non ha ben chiaro come funzionano queste piattaforme. La sua proposta è naif e tecnicamente infattibile. Se le norme americane, dove hanno sede queste società, non prevedono l’identificazione, allora è assurdo proporre questa misura in Italia. Non esiste nel mondo, perché farla nel nostro Paese? Questi social seguono meccanismi giuridici per i quali non siamo competenti. In più, per restare anonimi ci sono una miriade di meccanismi che non consentono l’identificazione, tra cui il Vpn, che permette anche di nascondere l’Ip. E accertare un reato è diverso da identificare preventivamente chiunque voglia avere un profilo social”. Sarzana ricorda poi che l’anonimato online non può essere messo in discussione perché “salvaguarda le libertà fondamentali in regimi repressivi e dittatoriali“. Quella di Marattin, conclude, è quindi una proposta “come se fossimo nel 1912. Ritorna ciclicamente e ha zero utilità“.

Twitter: ele9380

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