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Trieste, fiori per gli agenti uccisi, abbracci e carezze per i colleghi. Un testimone: “Quei rumori mi sembravano petardi”

Via del Teatro Romano è riaperta al traffico fin dalle prime ore della mattinata, i passanti sfilano dritti sui marciapiedi di fronte al Palazzo. Qualcuno stringe la mano agli agenti di guardia, altri li abbracciano
Trieste, fiori per gli agenti uccisi, abbracci e carezze per i colleghi. Un testimone: “Quei rumori mi sembravano petardi”
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Tutto si muove eppure tutto è fermo. È il giorno dopo di Trieste, dove l’aria sa di sospensione. Non solo fuori dalla Questura dove ieri due poliziotti, Pierluigi Rotta, 34 anni di Pozzuoli e di Matteo Demenego, 31 anni, di Velletri sono stati uccisi. La città intera è stranita, ammutolita, quasi zittita, di certo incredula dopo che Alejandro Augusto Stephan Meran, un dominicano, 29 anni affetto da problemi psichici, ha sottratto la pistola a Rotta e ha aperto il fuoco.

Via del Teatro Romano è riaperta al traffico fin dalle prime ore della mattinata, i passanti sfilano dritti sui marciapiedi di fronte al Palazzo. Uomini e donne, anziani e bambini lasciano fiori sui gradini della Questura: qualcuno stringe la mano agli agenti di guardia, altri li abbracciano, una carezza. Intanto si aspetta la manifestazione delle forze dell’ordine, in solidarietà e ricordo dei due giovani poliziotti uccisi, questa sera poi la messa e la fiaccolata. La città prova a ripartire.

Il giorno dopo di Trieste, molti non se la sentono di raccontare, di raccontarsi, di ricordare. Specialmente chi abita il condominio che si affaccia sulla Questura: molti degli inquilini, addirittura, non hanno nemmeno udito gli spari, solo le ambulanze. Roberto Fusco invece sì, ha sentito distintamente “4-5 colpi”. È un avvocato, ha 36 anni e ieri era alla sua scrivania nell’ufficio al primo piano. “Quei rumori sembravano dei petardi, è la prima cosa a cui ho pensato, di certo non immaginavo dei colpi di arma da fuoco”. Poi però attraverso il vetro che dà esattamente su via del Teatro Romano, Roberto ha visto i poliziotti “con le pistole in mano mentre correvano, si appoggiavano dietro ai muri, facevano segno alle persone e alle auto di andarsene”. Il caos. Poi, dopo un po’ tutto si è improvvisamente cristallizzato.

“C’erano degli agenti che urlavano ‘Finito, finito!’, credo fosse il momento in cui hanno fermato anche il fratello che si era nascosto nel piano sotterraneo”. Anni prima, un uomo aveva sparato dei colpi di pistola e poi si era tolto la vita. Roberto lo ricorda bene, ma fisicamente non era lì. Non era a tanto così. Roberto prima di ieri non si era mai trovato per davvero sulla scena di un crimine. “Ho provato stupore e incredulità. Non pensi mai che possa accadere una cosa così in un posto vicino a te”. Piano piano però l’angoscia e il dolore salgono, cominciano a farsi sentire sulla pelle. Il risveglio di Roberto, oggi, è pieno di grande dolore. “Non posso pensare che due miei coetanei ieri si sono alzati, sono andati a lavorare e oggi le loro famiglie piangono la loro scomparsa”.

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