Ottobre è il mese della educazione finanziaria. Una delle più incredibili menzogne che il mondo della finanza sia riuscito ad organizzare. Ovviamente con i soldi pubblici di una politica sempre prona al potere di banche, assicurazioni e loro derivati.

Sì, perché in questo paese l’educazione finanziaria è stata affidata proprio ai più maleducati. Un paradosso: dopo quanto hanno combinato, lasciare che giochino questa partita da soli sarebbe come affidare a un pasticciere un corso su come mangiare sano oppure a un mafioso un seminario sulla legalità.

Ma questa “operazione simpatia” verso i clienti non stupisce affatto, perché gli istituti di credito tengono solo alla propria reputazione. Si tratta della ennesima operazione “vetrina” che tra l’altro nasconde, anche da parte degli enti preposti (Comitato interministeriale per l’educazione finanziaria) una errata analisi dei bisogni formativi.

Non solo per la materia che studio da circa 30 anni, ma soprattutto stando tra le persone e ascoltando le loro domande, mi sono reso infatti conto che l’informazione in tema di finanza è troppo tecnica, astratta e poco accessibile a chi non ha una formazione specifica sull’argomento. Seminari, manuali, allegati a quotidiani di settore, trasmissioni con esperti e giornalisti usano un linguaggio troppo complesso, e raramente “parlano semplice”. In questo modo aumenta la confusione delle persone, che finiscono per disinteressarsi o, peggio ancora, per affidarsi al consulente bancario “di fiducia”, oppure a privati senza scrupoli, spesso in conflitto d’interessi.

“Cosa devo fare per non mettere a rischio i miei risparmi?”, “Quale banca mi consiglia?”, “Come si legge un estratto conto?”, “Le spese che mi hanno addebitato sono corrette?”, “Quale mutuo mi consiglia per acquistare una casa?”, “Cosa posso leggere, di facile, per capire come difendermi?”. Ecco le domande, semplici, che in tanti mi rivolgono, spesso anche amici e parenti.

Ma quali sono invece le reali esigenze di uno studente, di un pensionato o di un piccolo imprenditore? E di una casalinga, di un operaio o di un’impiegata? Non certo afferrare la logica che muove i mercati della speculazione o degli investimenti, ma piuttosto comprendere e usare al meglio gli strumenti alla base del rapporto di fiducia con la loro banca.

Si tratta di cittadini che non hanno più tempo per acquisire le competenze necessarie a capire i concetti più complessi della finanza: troppo tardi, ormai. Piuttosto, hanno bisogno di indicazioni precise, pratiche, simili a quelle dei tutorial che cerchiamo sul web quando, per esempio, il nostro smartphone si blocca e vogliamo rimediare da soli. Lo facciamo tutti, senza avere una laurea in ingegneria informatica.

È ormai assodato che la finanza ha un ruolo decisivo nella nostra quotidianità, persino mentre dormiamo. Per quale ragione, allora, nessuno ne spiega i concetti base? Perché non farlo già nelle scuole primarie, anziché solo all’università? La risposta è semplice: ci vogliono ignoranti, manipolabili. E più nei corsi di formazione si parla di concetti anche basilari (come la differenza tra una obbligazione e una azione), più gli squali della finanza capiscono dagli occhi spiritati dei presenti (o dai tanti assenti) che il cittadino medio non capisce una mazza e che quindi può manovrarlo e condizionarlo.

Questo tipo di “educazione finanziaria” spaventa soprattutto il cittadino medio, che non crede di poter capire nemmeno le nozioni più basilari. Infatti, nell’immaginario collettivo la finanza è una materia troppo difficile da padroneggiare in poco tempo e con letture “facili”.

La finanza è complessa, è vero, ma sarebbe sbagliato confondere la competenza professionale con la conoscenza divulgativa. Informare il signor Rossi non significa trasformarlo in George Soros, ma renderlo un cittadino più consapevole e quindi dotarlo di maggiore potere negoziale. Dobbiamo smontare lo stereotipo della finanza come materia per pochi eletti, perché ogni argomento, anche il più complesso, può essere spiegato in modo accessibile.

Bisogna utilizzare un linguaggio “diverso”, da controinformazione, e la saggistica (ma anche l’informazione giornalistica), tranne alcuni casi (ad esempio il nostro Beppe Scienza), difficilmente affronta la materia con consigli atipici, spesso non tecnici, suggerimenti che di certo un illustre professore di finanza non si curerebbe neanche di fornirvi, magari arricciando il naso disgustato da tanta semplicità. Io, nel frattempo, ci sto provando. E non solo ad ottobre.

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