Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta a Davide Casaleggio del senatore M5s Ugo Grassi. L’esponente 5 stelle il 26 settembre scorso ha annunciato le sue dimissioni da capogruppo in commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama e, pur smentendo l’ipotesi di una fuoriuscita, ha anche ammesso “le perplessità” e si è preso un momento di riflessione : “Ritengo”, ha scritto su Facebook comunicando la sua decisione, “che ciò che pretendi da altri, devi innanzi tutto applicarlo a te stesso.Dopo aver avuto un rapporto franco, leale e proficuo con i colleghi della Lega in Commissione, non avrei potuto svolgere il medesimo ruolo all’interno di un diverso contesto, senza dubitare io stesso della mia obiettività“. Grassi, già docente ordinario di diritto civile presso l’Università Parthenope di Napoli, fu presentato da Luigi Di Maio a gennaio 2018 come candidato eccellente per “il governo dei sogni”.

Caro Davide,

sto seguendo con attenzione il tuo impegno all’ONU per la democrazia diretta, tema a me molto caro anche perché sono al Senato relatore per il disegno di legge in tema di referendum propositivo. Lo premetto per fugare ogni dubbio: sono assolutamente d’accordo a inserire elementi di democrazia partecipativa all’interno di sistemi fondati sulla rappresentanza. Perché su un punto le moderne democrazie concordano: la fonte della sovranità è il popolo. Ma in che modo dar voce al popolo è dibattito secolare che, probabilmente, rimarrà sempre un cantiere a cielo aperto. Qui però avrei qualche riflessione anch’io da proporre, e il tuo intervento all’ONU a proposito della piattaforma Rousseau mi fornisce un ottimo spunto.

I parlamenti nazionali, ricordiamolo, sono composti da rappresentanti del popolo che – come ci dice l’articolo 67 della nostra Costituzione – rappresentano la nazione ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato Certo, le tante migrazioni e cambi di casacca cui abbiamo assistito dimostrano che talvolta se ne abusa, ma se vogliamo ragionare sulla validità delle clausole anti defezione bisogna sempre guardare al faro del principio di democraticità. Innanzitutto, clausole simili non sarebbero valide se inserite in statuti che non rispettano tale principio di democraticità e non tutelano le minoranze. In secondo luogo, va sì contrastato il fenomeno delle migrazioni per mera convenienza e calcolo personale, ma va anche tutelata la dignità dell’individuo, la sua libertà di pensiero e la libertà di opporsi a derive del partito diverse da quelle rispetto alle quali accettò di candidarsi.

Eccoci al punto. Il vero problema, e lo è anche per il movimento, riguarda il rapporto tra l’eletto, i suoi elettori ed il partito di riferimento. Sappiamo che il parlamentare rappresenta la nazione. Ma, concediamolo, è portatore anche delle idee per cui è stato eletto e in questa misura (da non dire ad un esame di costituzionale) rappresenta un po’ di più i suoi elettori. Sotto questo profilo, per esempio, quando un gruppo parlamentare assume una decisione lo fa a nome dei suoi elettori e nell’interesse della nazione tutta.

A fianco delle assemblee dei gruppi parlamentari troviamo gli organi politici di partito (direzioni nazionali, assemblee di vario ordine e grado ecc…). Qual è il rapporto tra la volontà dei due organi? Il gruppo M5S presente, ad esempio, in Parlamento e l’organo della sua associazione politica? Chi è vincolato all’obbedienza di chi? Il passaggio è importante. Una delle caratteristiche inscindibili di un’assemblea è infatti proprio quella di prendere decisioni in proprio, cioè di autodeterminarsi. Ma nel caso dello spostamento dell’intera decisione dai gruppi parlamentari all’assemblea virtuale degli iscritti su Rousseau, noi siamo di fronte a ciò che potremmo chiamare un “patto extrasociale” con cui l’assemblea si priva di ogni volontà per attribuirla ad un soggetto terzo. Il nodo è qui: se il soggetto esterno coincidesse con la totalità di coloro che quei parlamentari hanno eletto nulla vi sarebbe da ridire. Ma così non è. Poiché il movimento ha conseguito circa dodici milioni di voti, che ne è dell’opinione di quegli undici milioni e novecentomila che non si sono iscritti?

Se poi vogliamo approfondire, si può osservare che lo svuotamento della capacità decisionale dei nostri gruppi viene decisa in modo unilaterale; che le assemblee dei gruppi si riuniscono senza un ordine del giorno, e che finora non hanno mai deliberato alcunché, salvo decisioni prese “per acclamazione”; che le deliberazioni sulla piattaforma Rousseau sono vincolanti a pena di espulsione secondo quanto previsto dallo Statuto. Consentimi di osservare che le regole democratiche di funzionamento delle assemblee sono alquanto più complesse.

In altri termini: la democrazia diretta deve essere immersa in sistemi altamente democratici. Democratici devono essere, e torno al tema iniziale, gli statuti dei gruppi politici. Non basta che il segretario o il capo politico risponda politicamente ad un uomo saggio, se poi è assente una struttura democratica di controllo che, dalla base, risale fino ai vertici.

Uno stato democratico deve essere pervaso di democrazia e non si può difendere questa straordinaria forma di organizzazione se gli elementi che lo compongono non la rispettano.

Sullo sfondo c’è per tutti – ma noi siamo chiamati a far meglio degli altri – un antico tema: il valore dell’articolo 49 della Costituzione rispetto all’organizzazione interna dei partiti. Tema delicato perché si deve trovare il punto di equilibrio tra gli interessi di tutti coloro che hanno partecipato alle elezioni politiche e le decisioni dei partiti, o delle assemblee virtuali che danno diretta voce agli iscritti.

Credo, insomma, che la votazione su Rousseau sia uno strumento potente che può dare buoni frutti, a condizione che i suoi fini siano rispettati e inseriti armonicamente nei principi generali a presidio delle moderne democrazie.

Aprire un dibattito pubblico sul tema ritengo sia salutare.

Ugo Grassi

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