Quando stavo per laurearmi, ero affascinato dalla neurologia. Avevo un professore molto bravo che, come Sherlock Holmes, in base ai sintomi riusciva a capire la sede della lesione cerebrale. All’epoca la risonanza magnetica e la tac erano appena agli inizi e le diagnosi si basavano sulla clinica. Mi allontanai dalla neurologia perché purtroppo la terapia, in quel momento storico, era ben poca cosa. Assistevamo, quindi, a sofisticate diagnosi per poi attuare sempre le stesse terapie.

Il dibattito sul clima attuale mi pare simile alla situazione a cui assistevo all’epoca per la neurologia: tutti ad accapigliarsi sulla diagnosi con idee divergenti e, d’altro canto, scarsissime proposte sulla terapia. Ma a chi importa se il riscaldamento globale cui assistiamo è parte di un normale ciclo nei cambiamenti climatici terrestri o frutto dell’intervento dell’uomo? Il fatto è che dovremo adattarci, volenti o nolenti.

Sperare in un’inversione dei cicli è, anche per gli scienziati che negano l’importanza dell’azione dell’uomo, utopico in quanto questi cambiamenti durano secoli. Certo, se il cosiddetto effetto serra è la prima causa del surriscaldamento, ne deriva una grande responsabilità per l’umanità. Anche se l’aumento dell’anidride carbonica fosse marginale nel determinare i cambiamenti climatici, non per questo dovremmo continuare impunemente a inquinare.

Invece di discutere fra “Gretini” e “antiGretini” forse sarebbe importante fissare la nostra attenzione su dei progetti praticabili. Finora le proposte corrispondono al meccanismo utopico di colui che esclama “occorre cambiare” senza sapere come e, soprattutto, aspettandosi che prima siano gli altri a farlo.

Ho provato a rifletterci a livello personale. Nella quotidianità è difficile pensare di abbandonare l’auto per i mezzi pubblici, non programmare più viaggi, fare la doccia con acqua fredda o stare col cappotto in casa durante l’inverno per tenere la temperatura del riscaldamento a 15 gradi. Quello che ho messo in atto per la sostenibilità e il risparmio energetico come, ad esempio, incollare il cappotto di isolante alla casa, installare il fotovoltaico e attuare la differenziazione dei rifiuti, non è chiaramente sufficiente.

Uscendo dal personale, anche per le nazioni pensare di cambiare radicalmente il tenore di vita e il modello di sviluppo è molto difficile, in quanto impatta su tanti posti di lavoro e su abitudini ormai consolidate. Forse perché ho una grande fiducia nella scienza, proporrei un grande sforzo economico internazionale per finanziare, con almeno un centinaio di miliardi, la ricerca nei campi della realizzazione di nuove energie più pulite rispetto alle attuali e rinnovabili.

Inoltre si potrebbero finanziare ricerche per eliminare e trasformare l’anidride carbonica con processi simili alla fotosintesi, ma più veloci ed efficienti. Per un grande progetto internazionale di questa portata occorre il contributo degli Stati, ma anche dei cittadini che potrebbero investire in progetti di ricerca, per poi ricavare utili nel caso abbiano risultati positivi. Abbandonerei le discussioni sulla diagnosi del problema per concentrare gli sforzi su una possibile terapia che, a mio avviso, risiede in buona parte nell’innovazione e nella ricerca scientifica.

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