L’11 settembre è morto ad Ain Zara, a sud di Tripoli, Fitouri al-Dabbashi, uno dei membri della famiglia che fino al novembre del 2017, con il sostegno dell’Italia allora a guida Pd, con Marco Minniti ministro dell’Interno, ha governato Sabrata in cambio di un sostanziale blocco delle partenze dei migranti. Questa città, 70 chilometri a ovest di Tripoli, è sempre stata uno degli snodi principali del traffico di esseri umani diretti in Europa. È stata anche tra le prime roccaforti degli alleati di Fayez al-Sarraj a cadere, a novembre 2017, sotto i colpi dell’Anti-Isis Operation Room, forza guidata dal generale Omar Abdul Jalil. Quest’ultimo a ottobre di due anni fa ha dichiarato la sua fedeltà all’Esercito nazionale libico (Lna) di Khalifa Haftar, l’uomo che dal 4 aprile sta cercando di conquistare Tripoli.

Con la sconfitta sempre più netta del clan, l’Italia perde un riferimento sulla città costiera a ovest della Libia. Roma ha sempre negato il suo coinvolgimento con la famiglia, ma sono ormai troppe le inchieste giornalistiche che dimostrano i benefici ottenuti dai Dabbashi a seguito della firma del Memorandum of Understanding tra Italia e Libia del febbraio del 2017. La perdita di un interlocutore, per quanto tenuto sotto traccia e criticato dalla comunità internazionale, pone l’Italia in una posizione di debolezza in Libia come non accadeva da anni.

Visto che l’avanzata senza rapido successo di Haftar, sostenuto sottobanco da Macron quando ancora era un nemico per l’Europa, ha compromesso la Francia sul piano dei negoziati internazionali a nome dell’Europa, si è aperto un vuoto diplomatico con la Libia. Si spiega così il motivo per cui, dopo anni di silenzio, l’ambasciatore tedesco in Libia, Oliver Owcza, ha annunciato l’intenzione di organizzare una conferenza di pace, probabilmente tra fine ottobre e novembre, a Berlino.

È il terzo tentativo, chiesto ancora una volta dall’inviato dell’Onu, Ghassan Salamé, di arrivare a un cessate il fuoco duraturo e un nuovo embargo sugli armamenti in Libia, dopo che entrambi gli schieramenti l’hanno violato palesemente. I primi tentativi, a novembre 2018 a Palermo e a maggio 2019 a Parigi, sono entrambi stati un fallimento. Il tema non è più solo quello dell'”ondata migratoria” dalla Libia, visti i circa 5.700 arrivi in Italia dall’inizio del 2019, un numero molto più basso di quelli in Spagna o in Grecia, ma quello di dare un minimo di stabilità a un Paese in piena emergenza sanitaria, in cui manca l’acqua e in cui la guerra civile, da aprile, ha già causato oltre mille vittime.

Al-Dabbashi combatteva con milizie islamiste. Ha militato nel Battaglione dei Martiri di Sabrata, un’organizzazione di reduci riparati nella vicina Zawiya. Nel 2014 ha partecipato a Libya Dawn, composita formazione islamista che includeva da membri della Fratellanza Musulmana già impegnati nella resistenza contro Gheddafi fino ad affiliati ad organizzazioni legate ad al-Qaeda. Da aprile, le milizie filoislamiste sono tra le forze impegnate nella guerra perpetua per il controllo di Tripoli. I media vicini all’uomo forte della Cirenaica definiscono Fitouri al-Dabbashi un terrorista, un reclutatore di jihadisti, un trafficante di armi, di carburante e di uomini. Tutti crimini che non gli sono mai stati imputati dal Governo di accordo nazionale di Sarraj. È un fatto però che le prime condoglianze sui social alla famiglia Dabbashi siano arrivate da altre milizie terroriste, la Brigata Al-Samoud del sanzionato Salah Badi e il Gruppo combattente islamico libico (vicino ad al-Qaeda).

Come ricorda l’Agenzia Nova, la famiglia Dabbashi è uno dei clan più noti di Sabrata. Uno zio di Fitouri, Ibrahim al-Dabbashi, è stato ambasciatore alle Nazioni Unite. Ahmed (detto “al-Ammu”, Lo Zio) al-Dabbashi, capo della milizia Anas al-Dabbashi, è tra i trafficanti di esseri umani sanzionati dalle Nazioni Unite. Il fratello di Al-Ammu, Emhedem, guida la Brigata 48, forza nata da un accordo con il ministero della Difesa e che, secondo fonti libiche riportate da L’Espresso, aveva come unico scopo quello di proteggere gli interessi di Al-Ammu e gestire la sicurezza al compound di Mellitah, joint venture tra Eni e la società petrolifera nazionale libica Noc. Non è chiaro, invece, quale sia stato il ruolo della famiglia nel sequestro dei quattro tecnici italiani della Bonatti nel 2015, due dei quali morti nella sparatoria per la loro liberazione.

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