Maria ha 53 anni, è laureata in Lettere, ha un dottorato di ricerca ed anche un post-dottorato di ricerca in archeologia, ha insegnato per alcuni anni all’Università ed una montagna di pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali. Da cinque anni insegna alle scuole medie, a Roma. Italiano, a volte. Altre, sostegno, ma anche Alternativa alla religione cattolica. E’ una precaria, anzi una supplente. “Ogni anno è la stessa storia. A settembre inizia l’attesa. Ogni attenzione rivolta alle mail”, mi racconta.

L’attesa è naturalmente per una chiamata da qualche scuola. Le mail sono quelle inviate dai diversi istituti per segnalare che c’è un posto da coprire. Il problema è che i contratti sono a tempo determinato. Bene che vada fino al 30 giugno. Poi si va in disoccupazione fino all’anno successivo quando inizia il calvario. Di nuovo. Ma può accadere anche che il termine del contratto sia diverso. Magari soltanto di qualche mese. “Tre anni fa mi è capitato di sostituire una collega che era in malattia, per tre settimane e poi di dover attendere quasi due mesi prima di una nuova chiamata”, dice Maria. Che spiega come quelle “supplenze brevi” non siano retribuite dal Miur, ma dalle scuole stesse. Circostanza tutt’altro che insignificante. Quando a pagare sono le scuole “bisogna aspettare di più”. Insomma i soldi non arrivano a fine mese.

In questi cinque anni di precariato Maria di scuole ne ha girate tante. “Dirigenti scolastici, colleghi e colleghe? Una miriade! Ragazzi e ragazze? Una infinità!”. Volti che si sovrappongono, senza quasi mai incontrare il nome giusto. Frammenti di vita scolastica che si perdono, senza però scomparire. “L’anno scorso? Bellissimo, intenso. Indimenticabile! Ho avuto una prima con la quale ho fatto tante cose”, mi racconta Maria. “Abbiamo scritto e letto. Abbiamo lentamente imparato ad usare le parole più adatte, a seconda delle circostanze”, aggiunge. “Lo confesso, ho provato una fitta al cuore l’ultimo giorno di scuola. Sapevo che quasi certamente non sarei stata con loro in seconda”, aggiunge la precaria. Anche a questo non riesce proprio ad abituarsi. “Prendere” e poi lasciare le classi, ogni anno. Una specie di vortice che destabilizza. Un saliescendi che impedisce di portare a termine il lavoro iniziato.

In questa situazione, a 53 anni, Maria ci si trova perché “non è abilitata all’insegnamento”. D’altra parte dal 2013 non ci sono corsi che possano assicurarla quella benedetta abilitazione. Per questo continua ad essere un’insegnante a tempo determinato. “Una stagionale”, come si definisce lei con ironia ma, anche, amarezza. Stagionale come i braccianti impiegati nei campi. Stagionale come i bagnini che prestano servizio negli stabilimenti balneari.

Così, ecco un nuovo anno. Pieno di incertezze. Si ricomincia, un’altra volta. Forse.

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