Cagliari è la sua gente. Cagliari non è una cartolina. Nessuna città al mondo è una cartolina, a meno che si pensi che Instagram o le pubblicità turistiche siano la realtà.
Di Cagliari, della sua conformazione sociale, della sua strutturazione di potere, non se ne parla e non se ne scrive. Chi ne potrebbe parlare o scrivere ne fa parte e, quindi, ha interesse a non svelare alcunché. Questa impostazione coinvolge forze sociali e politiche in una grande ammucchiata, in alcuni casi inconsapevolmente, alla quale non si è sottratta neanche la breve esperienza dei Cinque stelle in consiglio comunale.
Alcuni no. Noi non siamo così. Conosciamo Cagliari perché ci viviamo, e la viviamo in ogni angolo. In più siamo liberi e viviamo dignitosamente, seppur senza alcun vizio e lusso, ed anzi tirando la cinghia di quando in quando. Da donne e uomini liberi vogliamo raccontare la capitale della Sardegna, il luogo dove tutti i sardi si incontrano. Serve impostare un lavoro sistematico e profondo, e non è il caso di un articolo, sui poteri che a Cagliari agiscono, ma (ri)cominciamo scrivendo della Cagliari vera, materiale.
Cagliari è la sua gente. Cagliari è i suoi dipendenti pubblici, tanti, molti sottopagati, tanti alle prese con famiglie in sofferenza economica, alcuni schiavi dei psicofarmaci. Quei dipendenti che vorrebbero dirigenti di ben altro livello, che dovrebbero essere continuamente formati e coi quali tutte le sarde ed i sardi si riappacificheranno un giorno.
Cagliari è quei trentenni che, nati e cresciuti in periferia, non sono riusciti ad acchiappare un titolo di studio, magari hanno figlie e figli, e lottano ogni giorno contro la povertà, la droga ed il perdersi, loro e dei figli.
Cagliari è quel vasto mondo di lavoratrici e lavoratori dipendenti per i quali avere figli significa vivere qualche decennio in apnea.
Cagliari sono i lavoratori cinquantenni, o giù di lì, del Porto Canale, il porto canale chiuso. Hanno figli, famiglie e mutui a carico e sono vittime di un fallimento annunciato. Non hanno risvegliato la sonnacchiosa città, che in questi ultimi decenni mai si è fermata a pensare di che lavoro vuole vivere. Chissà che insieme non si rovesci quella vergogna del governo del porto e del fronte mare.
Cagliari sono i giovani e giovanissimi che in massa sono scesi in piazza contro il cambiamento climatico e gli studenti universitari che si arrabattano per vivere e non spendere troppo.
Cagliari sono gli autonomi, partite Iva sulla soglia di povertà, e quei professionisti, una volta al sicuro economicamente e con la casa nel quartiere residenziale, i quali oggi possono considerarsi salvi dalla povertà per via delle ricchezze da altri accumulati.
Cagliari sono quelle decine di migliaia di donne e uomini che vivono nelle case popolari. Nei loro quartieri festival letterari non se ne fanno, ed i wine bar non abbondano. Case popolari. Solo a scriverlo si torna nel polveroso e sorpassato novecento. Ed in effetti le politiche abitative si sono fermate al novecento, nonostante la sinistra abbia governato per otto anni, e quegli abitanti niente possono chiedere o pensare.
Cagliari sono quei mille circa, figlie e figli della città, che vivono di droga e affini (spacciatori, vedette, custodi, corrieri, piccoli trafficanti). Sono numeri accettabili? Sono tutti lombrosianamente delinquenti incalliti non recuperabili?
Cagliari è i suoi pensionati, sempre di più, moltissimi con figlie e figli in Italia o all’estero. Gli altri (figli) catapultati nell’hinterland cagliaritano per costrizione e non per scelta. La loro vita, quella dei pensionati, va avanti come se non cambiasse, anche se cambia ogni giorno. E poi l’unica soluzione diventa il badantato, più o meno legale, più o meno sfruttamento di manodopera senza diritti.
Cagliari è la città dove per fare tre chilometri di tram di superficie (noi la chiamiamo metropolitana di superficie) ci vorranno forse 20 anni. Dove per fare una casa dello studente forse ne basterà qualcuno di meno.
Cagliari è la sua storia, e questa è un’altra storia, che sta insieme a quella di poco fa.