Sarà pure un visionario Berlusconi ma il ponte sullo stretto, prima o poi, s’adda fare. Lo penso ogni volta che devo attraversare quel braccio di mare di circa 3 Km che perfino Grillo, in piena terza età (anagrafica e politica) ha fatto a nuoto.

E come me, la devono pensare qualche centinaia di migliaia di “caronti” vacanzieri, sia che il guado avvenga per raccordo stradale sia per quello ferroviario, è sempre un inferno quotidiano.
La Sicilia è un’isola e, per metafora, l’isola è luogo di cambiamento interiore e del dolce far niente, arrivarci è il terminale del sogno mediterraneo di mezza estate. Ma partire, per di più il terzultimo weekend d’agosto, è un’altra storia, è come se tutto il sud si spostasse verso il nord.

Mi rivolgo a Hyblon Viaggi, Enza, esperta di trasporto pubblico locale, che per tre giorni monitora tutto il transitabile: aerei, traghetti, treni, ad alta e media velocità. Neanche un topo troverebbe un buco nella stiva. Il biglietto aereo della compagnia low cost (si fa per dire) ha tariffe proibitive. E, se si è lamentato pure il reuccio da stile di vita Billionarie, Briatore, che dalla Sardegna e dalle isole i voli costano come andare a New York, figuriamoci per un comune mortale. Non mi rimane che affrontare il viaggio in pullman con spirito da scout. Mi dico perché no, un’esperienza on the road potrebbe avere il sapore dei tempi andati. Mi riporterebbe a un’antica filosofia del viaggiare lento, a piccole tappe. Concetto espresso molto bene nel libro cult Il Circolo di Pickwick di Charles Dickens, un affresco/parodia della società in viaggio.

Anziché “nati per correre” potrei potrei fare un ritrattino del tipo “nati per la corriera”. Ma il mio sogno alla Easy Rider in torpedone si infrange su una carovana di canottiere, infradito ciabattanti, braghe cascanti e zaini ammassati che a ogni scossone rischiano di cadermi in testa. L’edicolante della stazione ferroviaria, Enrico Pasqua, mi vende l’ultimo biglietto che costa solo 42 euro. Sta lì dagli anni ’50, ma a breve chiuderà bottega: si vendono più tagliandi da viaggi che giornali. Finalmente si parte: il calessino, la vecchia ape ingentilita per il turista, per portarmi da Ortigia a via Umberto, che sono scarsi 2 chilometri, mi chiede 15 euro. Quando arriva il bus, sembra l’assalto del Far West. Trentaquattro gradi, 80% di umidità, lo scirocco non molla, tra umori, odori e sudori, prendo posto. Mi avevano detto non si cambia. Invece a Catania, c’è il trasbordo su altro mezzo, un bestione a due piani della compagnia Sais. Dotato anche di una toilette d’emergenza. Subito l’avvertimento del conducente, non lo intasate, lasciatelo pulito, altrimenti ve lo chiudo a chiave. Con la minaccia di doversela fare addosso si invoca un civile spirito di gruppo. Overbooking, stipati come polli, due rimangono a terra. Appena il pullman si mette in moto parte un frenetico scartocciare di parmigiane, focacce, pizzette, frittate, polipi in insalata, cannoli. Io con il mio modesto arancino, comprato da Midolo, faccio una figura tapina. Dopo il mangereccio i compagni di merenda si attaccano al cellulare per raccontarsi ed è una babele di dialetti, di spiaggia, di gite in barchino…A Messina ci imbarchiamo, la comitiva sull’allegro andante si selfizza sul pontile per un brindisi con karaoke stonato.

Intanto l’Italia continua a dividersi fra no-pontisti e si-pontisti. I primi accusano che il fondale non reggerebbe. Ma come avranno fatto i nordici geniali a collegare Danimarca e Svezia, con un’opera d’ingegneria avveniristica lunga oltre 7 kilometri? Per i sostenitori del sì sarebbe un’accelerata all’economia, una soluzione logica, ecologica, sociale, produttiva e occupazionale per la Sicilia. Questi i benefici. Il costo invece sarebbe di 3.9 miliardi. Di soldi pubblici, ovviamente. Intanto Siracusa-Napoli, 654 kilometri, 12 ore in postale. Lo stesso tempo lo impiegherei per volare a Los Angeles.

Instagram Januaria Piromallo

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