Cinema

George Hilton, morto l’attore simbolo degli spaghetti western

Un attore a tutto tondo, pochi fronzoli da Actor’s studio, tante trame low budget da portare in fondo senza far perdere la minima attenzione allo spettatore, una carriera di spaghetti western che nemmeno Clint Eastwood

di Davide Turrini

Il bellimbusto George ne Lo strano vizio della signora Wardh, il pistolero Alleluia in Testa t’ammazzo, croce…sei morto, o il raffinato capitano di vascello del film e della serie College? George Hilton, morto a Roma la scorsa notte a 85 anni, è stato uno dei più versatili, fascinosi, fotogenici eroi dei b-movies italiani che la storia del cinema ricordi. Un attore a tutto tondo, pochi fronzoli da Actor’s studio, tante trame low budget da portare in fondo senza far perdere la minima attenzione allo spettatore, una carriera di spaghetti western che nemmeno Clint Eastwood.

Anzi, Clint è un po’ il prototipo a cui Hilton volge lo sguardo, e in cui si riflette, quando nel ’66, recita nel suo primo “spaghetti”, Le colt cantarono la morte e fu… tempo di massacro. Freschissimo il successo della trilogia del dollaro di Leone, Hilton giunge altrettanto maturo all’appuntamento con il filone aurifero del cinema di genere dal set, primo lungo italiano di un trentenne uruguagio di Montevideo, di Due mafiosi contro Goldginger (1964). Hilton è nientemeno che uno 007 in un film parodico. Controfigura credibile e latina di un agente segreto che deve spalleggiare Franco e Ciccio.

Dicevamo degli spaghetti western. Hilton ci finisce così a gamba tesa. Regia di Lucio Fulci, script dell’immenso Fernando Di Leo, l’uruguaiano è Jeffrey, un cowboy alcolizzato dalla pistola rapidissima che prima di uccidere recita “Hey, gentleman”, co-protagonista di una storia di fratelli che si rincontrano e affrontano soprusi su soprusi. Non che il titolo risulti memorabile sui dizionari del cinema, ma la popolarità e l’affidabilità di Hilton è subito acclarata tanto che nel 1967 gira addirittura sette (riscriviamo: sette) film. Probabilmente è un record, perché Hilton li ha girati tutti da protagonista. E cinque su sette, tra l’altro sono, appunto, spaghetti western intrisi di ironia. Tra questi Vado l’ammazzo e torno di Enzo G.Castellari e Professionisti di un massacro, titolo da leccarsi i baffi diretto da Nando Cicero che fa l’occhiolino proprio a Il buono, il brutto e il cattivo. Piccola pausa attorno al biennio 68/69 (anche se in mezzo c’è una versione de La battaglia di El Alamein con Enrico Maria Salerno che si fa guardare) e grazie alla penna prolifica, infingarda e spiritosa di Tito Carpi ecco sbucare il pistolero Sartana, il collega Alleluia e ancora un altro pistolero (questo però a metà anni settanta) che si chiama Tresette. C’è Sartana…vendi la pistola comprati la bara (1970) e ancora Testa t’ammazzo, croce sei morto … Mi chiamano Alleluia (1971) e Il west ti va stretto amico è arrivato Alleluia (1972) rinverdiscono e sfaccettano con minor enfasi il personaggio tenebroso alla Django lasciando comunque un’impronta divertita e commerciale sul genere.

Grazie però al ricco e misterioso ruolo nel thriller Lo strano vizio della signora Wardh (regia di Sergio Martino, 1971), in coppia con una Edwige Fenech che ancora fa urlare di piacere le nuove generazioni di cinefili, Hilton si disegna un futuro prossimo anche in questo filone. È un ispettore di polizia in Mio caro assassino di Tonino Valeri, e ancora rifà coppia con la Fenech nel ’74 in Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer? Baffoni, maglione a collo alto e pantaloni a zampa d’elefante lo ritroveremo ancora tutore della legge in Torino violenta di Carlo Ausino (1977), un lavoro apparentemente anonimo ma con discrete scene d’azione ed un finale in esterno notte illuminato a giorno che ancora acceca. Solo che sul finire degli anni settanta il cinema di genere italiano, o più prosaicamente il cinema che va dalla serie B alla Z, improvvisamente si ferma. Non se ne produce più.

Ricominciano i canovacci da commedia, fondati sui nuovi comici che arrivano dalla tv o dal teatro. Hilton è un pesce fuor d’acqua. Nelle commedie (Teste di quoio e Ricchi, ricchissimi, praticamente in mutande) perde il suo appeal tra il sarcastico, il guascone e lo sciupafemmine. Non gli resta che una memorabile serie tv- College, diretto infatti da due maghi della commedia, Castellano&Pipolo – in cui tra una Federica Moro pepatissima collegiale dell’istituto “Il Gabbiano” e il cadetto dell’Accademia navale Christian Vadim/Marco Poggi che la corteggia senza tregua, Hilton fa l’occhietto, balla, saltella, sempre austero, lungo lungo nella divisa del comandante che se la intende con Milla Sannoner, direttrice del collegio (segnaliamo oltretutto la hit musicale College di Carlo Simonetti, vero tormentone per le generazione anni ottanta).

Qualche breve apparizione in Fuochi d’artificio di Pieraccioni e Natale in crociera di Neri Parenti negli anni novanta e duemila, sempre nei panni nobili di un elegante seduttore o di un comandante di una nave, ma sono i camei di fine carriera. Bello e malinconico il documentario George Hilton : Il mondo è degli audaci, diretto da Daniel Camargo, che ha strappato premi in mezzo mondo e dove Hilton appare tra tanti colleghi che lo ricordano autentica figura alla pari dei Giuliano Gemma, dei Terence Hill, dei Franco Nero anni sessanta inizio settanta. Due i treni perduti per portalo chissà dove (più in alto? Più in basso? Ripassare dal via?): De Sica che preferisce Fabio Testi a lui ne Il Giardino dei Finzi Contini, ma soprattutto Antonioni che lo scarta perché la produzione americana gli preferisce Jack Nicholson in Professione: Reporter. L’ha rivelato lo stesso Hilton che una volta spiegò anche che nonostante le scene hot girate con la Fenech non c’era stato nulla tra loro due se non una bella amicizia. C’è da credergli.

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