Cultura

Il regista Daniele Finzi Pasca si racconta. Dalle cerimonie olimpiche al Cirque du Soleil fino alla“Fête des Vignerons” con migliaia di volontari

A Vevey, nella regione del Lavaux in Svizzera francese, dal 18 luglio all’11 agosto si celebra la “Fête des Vignerons”. Omaggio alle tradizioni viticole del territorio, con tanto di incoronazione finale dei migliori vignaioli, si svolge solo quattro volte al secolo. Danzatori, attori, figuranti, cantanti, musicisti e assistenti non professionisti che partecipano spontaneamente al mega show celebrativo sono diretti da Daniele Finzi Pasca

di Simona Griggio
•Copyright foto: Viviana Cangialosi – Compagnia Finzi Pasca 

Il marito non vuole condividere la scena con la moglie. Lei invece brama a tutti costi stargli vicino anche sul palcoscenico. L’assistente ai costumi non sa usare il dispositivo elettronico per annotare nomi e misure. Preferisce carta e penna. Una coppia di ottantenni si innamora in sartoria e nel fervore delle prove decide di convolare a nozze. Piccoli inconvenienti quotidiani nella gestione di oltre cinque mila artisti volontari. Siamo a Vevey, nella regione del Lavaux in Svizzera francese, dove dal 18 luglio all’11 agosto si celebra la “Fête des Vignerons”. Omaggio alle tradizioni viticole del territorio, con tanto di incoronazione finale dei migliori vignaioli, si svolge solo quattro volte al secolo. Danzatori, attori, figuranti, cantanti, musicisti e assistenti non professionisti che partecipano spontaneamente al mega show celebrativo sono diretti da Daniele Finzi Pasca e dal suo storico gruppo. Uomo da spettacoli monumentali come la cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici Invernali di Torino nel 2006 e di Sochi nel 2014, il regista originario di Lugano ha firmato anche “Corteo” per le Cirque du Soleil, in arrivo in Italia a settembre.

La “Fête des Vignerons” è paragonabile a uno spettacolo olimpico?
Da un certo punto di vista sì. Perché si realizza in occasione di una celebrazione che non è mai fissa e prevede la costruzione di un’arena per venti mila spettatori. Una struttura grandiosa, con macchinari scenici, botole, scale e marchingegni. Un anno di lavoro e poi tutto si si smonta. Ma la “Fête des Vignerons”, nata nel 1797, ha anche qualcosa che rimanda alla tradizione degli eventi popolari medievali, feste e processioni sante che diventano spettacolo.

Chi la organizza?
La Confrérie des Vignerons, che difende il lavoro degli artigiani del vino e si occupa di tutto. Non ci sono fondi istituzionali. Tutto è coperto da incassi e sponsorizzazioni.

Quanto costa?
L’evento costa diversi milioni di euro. La zona del Lavaux, che è protestante e nota per la sua sobrietà, quattro volte al secolo esplode in uno spettacolo immenso, megalomane. Anni fa il biglietto costava come il riscaldamento di un anno. Ma la gente metteva via i soldi pur di vederlo.

I personaggi principali dello spettacolo?
Una bimba, di nome Julie, e il nonno. Insieme scoprono le tradizioni e il lavoro nella vigna. Oltre a loro ci sono tre “dottori” che commentano con ironia e impertinenza la rappresentazione. Lo spettacolo comincia e termina in un giorno di vendemmia, un piccolo viaggio che sembra durare un istante. Come in “Alice nel Paese delle Meraviglie”, anche qui la piccola bambina trasforma, grazie alla sua immaginazione, le forbici e piccoli insetti in mille altre cose.

La macchina scenica?
Abbiamo concepito un’arena simile a un gigantesco nido nel quale gli spettatori si immergono. Una grande scena centrale, circondata da altre quattro scene, ci permette di costruire sensazionali movimenti scenici. Abbiamo anche un impianto sonoro molto sofisticato, per “guardare lo spettacolo con le orecchie”.

Come ha fatto a coordinare migliaia di volontari?
Ho con me un gruppo di persone davvero competenti. Certo la dimensione non professionale è difficile da gestire, ma è stimolante dal punto di vista umano. Lo spettacolo riflette la relazione di questa gente con la natura. Fa pensare alle feste tedesche tardo medioevali con la rappresentazione di Cristo. Tutti sono parte della storia. In scena abbiamo mamme che hanno appena partorito, attori centenari e bambini che da mesi si preparano per l’evento. Un’esperienza davvero unica, che si ripete per venti giorni e poi sparisce.

I volontari sono impegnati in tutte le scene dello spettacolo?
Quasi sempre. Lo spettacolo riflette la loro dimensione quotidiana. Racconta un anno di vita della vigna. La defogliazione, la potatura, i momenti più sociali come il matrimonio e la festa di Saint-Martin. Fino a toccare temi più generali come le stagioni, l’acqua, la luna e il cosmo. Nel cuore dello spettacolo spicca l’incoronazione degli operai delle vigne. Ci sono momenti in cui sulla scena si esibiscono 2500 attori e figuranti.

Lei si muove in mondi diversi. La regia teatrale e d’opera, le arti circensi e la clowneria…
La poetica peculiare della Compagnia Finzi Pasca ha preso forma dai concetti di “Teatro della Carezza” e di “Gesto Invisibile”. Sviluppati nel corso di 36 anni di esperienza, questi concetti hanno consolidato un’estetica unica e un personalissimo stile di creazione e di produzione, nonché una filosofia di allenamento per l’attore, l’acrobata, il musicista, il danzatore e il tecnico. Un modo di abitare lo spazio. Teatro, danza, acrobazia, circo, opera e documentari: tutto confluisce nella Compagnia Finzi Pasca.

Dallo spettacolo con cinque mila volontari a “Icaro” per un singolo spettatore: cosa cambia?
Ho scritto “Icaro”, monologo per un solo spettatore, nel 1991. Da allora è andato in scena quasi 800 volte in sei lingue ed è tuttora in tournée. Siamo partiti da un teatro che aiuta a capire chi sei. Abbiamo presentato “Icaro” nelle bidonville del Perù e della Bolivia, in India, in Africa, in Australia. “Icaro” è l’espressione di ciò che facciano,

Fare in grande per poi tornare nel piccolo?
Quando fai nel grande puoi mantenere la semplicità. Il teatro povero è come essere al margine. La semplicità non è una scelta ma una condizione. Rimaniamo fedeli alla dimensione della semplicità. Veniamo dal teatro di Grotowski a Pontedera, dove la ritualità è importante.

Come è nato il progetto di “Corteo” per le Cirque du Soleil, in Italia per la prima volta a settembre?
Guy Laliberté, il fondatore e manager della compagnia, dopo aver visto “Icaro” mi ha invitato a Las Vegas. Quando mi ha chiesto di fare la regia dello spettacolo “Corteo” non ci credevo. Ma ho subito pensato al funerale di un clown, con figure felliniane della nostra tradizione. Il tragico e il comico vicini, per piangere e ridere allo stesso tempo. Abbiamo costruito uno spettacolo bifrontale, dove la scena è una passerella con il pubblico distribuito su due ordini. Inoltre, avendo l’idea fissa di far volare le cose, ho pensato a un clown volante che si immerge in un mondo di angeli e poi torna in mezzo a burloni sgangherati, interpretati da acrobati eccellenti.

Dopo Corteo ha firmato anche “Luzia” per le Cirque du Soleil.
Il Cirque du Soleil è una grande macchina, con manager che si spingono a creare nuove tecnologie inimmaginabili. Hanno rivoluzionato il mondo del teatro con i loro sogni all’apparenza irrealizzabili. La dimensione della produzione è talmente onirica che sfugge persino a loro. E’ stata una grande esperienza lavorare con loro.

Si sente fortunato?
Sono un uomo fortunato. Ma la mia grande fortuna è lavorare da 36 anni con le stesse persone. Essere circondato dalla stessa famiglia.

E l’amore?
Non ho potuto avere figli. Ma ho veramente amato. Ho perso mia moglie, Julie Hamelin Finzi, creatrice di molti progetti, per una malattia grave. Tutta la compagnia ha condiviso la sua battaglia mentre era sottoposta a cure intensive a Lugano. Insieme abbiamo rivoluzionato anche il mondo sanitario. Non siamo mai usciti dall’ospedale. Abbiamo imparato a fare ciò che fanno gli infermieri, giorno e notte per più di un anno.

Come è nata la sua passione per il teatro?
Facevo ginnastica artistica e mi esibivo in un numero clownesco acrobatico. Avevo otto anni. Dietro le quinte spiavo donne in piume e mi dicevo: è bellissimo! Poi dalle ballerine in topless ho cominciato a fare ricerca. A 18 anni sono partito per l’India per lavorare come volontario con madre Teresa di Calcutta. La mia idea di teatro si è formata a poco a poco dall’insieme di tutte queste esperienze.

 

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