Neanche un’ora di udienza, giusto il tempo di ricusare un altro dei componenti della commissione che deve giudicarlo. Luca Palamara non vuole Piercamillo Davigo tra i giudici disciplinari che devono decidere se sospenderlo dalle funzioni e dallo stipendio. Nei giorni scorsi il pm sotto inchiesta aveva chiesto di escludere dalla commissione di Palazzo dei Marescialli anche Sebastiano Ardita. Il motivo? Entrambi si sarebbero già pronunciati in maniera dura sulla vicenda. Cosa che per la verità non risulta, almeno pubblicamente. La commissione ha preso atto delle richieste di Palamara e ha rinviato l’udienza al 9 luglio. Prima di allora la questione dovrebbe essere stata sciolt: e quindi si capirà se il procedimento disciplinare dell’ex presidente dell’Anm può cominciare oppure no.

Procedimento a rischio rinvio – Ardita, infatti, che ha preso il posto di Giuseppe Cascini. Quest’ultimo si era astenuto perché in passato aveva guidato l’Anm in comune per Palamara (era segretario quando il pm sotto inchiesta era presidente). In caso di ricusazione, dunque, Ardita dovrà essere sostituito da un altro pubblico ministere nella sezione disciplinare. Ma allo stato, al Csm non ce ne sono altri, essendosi dimessi per le intercettazioni dell’inchiesta di Perugia, Antonio Lepre e Luigi Spina. Una situazione che si potrebbe risolvere solo se Cascini revocasse in parte la sua astensione, accettando di occuparsi della ricusazione di Ardita. Se così non fosse sarebbe probabile il rinvio ad ottobre, cioè alle elezioni suppletive per sostituire i consiglieri pm che si sono dimessi.

La memoria: “Facevo parte di un sistema” – Nell’udienza di oggi non si è trattata alcuna questione di merito, nè ha preso la parola Palamara, di cui è stata solo recepita la memoria depositata dai suoi legali, gli avvocati Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti,  Roberto Rampioni. “È l’incontro tra la componente laica e quella togata, previsto dalla Costituzione, che nella mia esperienza personale ha esaltato l’incontro tra magistratura e politica. Ho fatto parte di questo sistema condividendone pregi unitamente alla piena consapevolezza dei difetti, dei quali però non posso assumermi da solo tutte le responsabilità”, scrive il magistrato accusato di corruzione, che ammette: “Errori sicuramente ne sono stati commessi”. Nella sua memoria, l’ex componente del Csm spiega inoltre che vuole “rivolgere le scuse più  sincere e profonde al Presidente della Repubblica, nella sua qualità di garante supremo dell’autonomia e della indipendenza della intera magistratura“. 

“Tanti magistrati sono venuti da me” – Palamara ha anche chiesto scusa a Mattarella. “Voglio oggi in questa sede rivolgere le mie scuse più  sincere e profonde al Presidente della Repubblica, nella sua qualità di garante supremo dell’autonomia e della indipendenza della intera magistratura”, scrive Palamara. Che per il resto il magistrato smentisce ogni addebito. “È vero ho partecipato a cene ed incontri in occasione delle nomine ed anche in occasione della futura ed imminente nomina del Procuratore di Roma. Ma l’autonomia della scelta del Csm mai e poi mai l’avrei messa in discussione. Per me sono stati da sempre, cioè dal 2007, solo momenti di libera espressione di idee e di opinioni. Durante il periodo consiliare 2014-2018 la mia persona è stata oggetto di interessamenti Infatti una volta assunta la carica di componente del Csm moltissimi colleghi si sono direttamente o indirettamente relazionati con la mia persona per i più svariati motivi”, scrive il pm. Che poi ricorda – senza citare nomi – alcuni precedenti assimilabili agli incontri con Luca Lotti, Cosimo Ferri e cinque consiglieri del Csm.  “In tali occasioni – ha spiegato Palamara – è tranquillamente capitato: che un Procuratore della Repubblica venisse a cena con me per parlarmi delle future nomine riguardanti i Procuratori aggiunti; che un collega del mio ufficio mi venisse a cercare per perorare la sua nomina a Procuratore Aggiunto; che un consigliere uscente si volesse confrontare con me sulle più importanti scelte consiliari da effettuare”. Quindi l’ammissione: “Errori sicuramente ne sono stati commessi e su questo ha sicuramente inciso la sfrenata corsa al carrierismo conseguente all’abolizione del criterio della anzianità e all’abbassamento dell’età pensionabile a 70 anni nonché la gerarchizzazione degli uffici requirenti che ha aumentato ruolo e poteri del Procuratore della Repubblica anche nel rapporto con la Polizia Giudiziaria”.

“Mai fatto costruire dossier contro Ielo” – Palamara nega qualsiasi manovra sulla procura di Roma. “Nella richiesta di sospensione del Ministro si afferma che avrei ‘illecitamente interferito nella nomina del Procuratore di Romà. Io mi protesto formalmente estraneo a qualsiasi forma di interferenza poiché altrimenti dovrei essere accusato di averlo fatto anche per la nomina dei più importanti uffici giudiziari del nostro Paese”, scrive nella memoria difensiva, spiegando anche di non aver “mai costruito dossier su Paolo Ielo“, e di aver “sempre avuto buoni rapporti con tutti. Ancor di più nel mio ufficio ed in particolare con Giuseppe Pignatone che per tanti anni per me è stato un sincero e reale punto di riferimento”.  L’unica ammissione è il legame con il faccendiere Fabrizio Centofanti: “Non posso rinnegare però un rapporto di amicizia con Centofanti. Mai ho avuto a che fare con il gruppo Amara. Mai ho ricevuto la somma di euro 40.000 per aiutare Longo come Procuratore di Gela”.

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