“Sono agevolati la frequenza e il compimento degli studi universitari e tecnici superiori, anche attraverso convenzioni e protocolli d’intesa con istituzioni universitarie e con istituti di formazione tecnica superiore”, si legge nell’ordinamento penitenziario riformato lo scorso ottobre. L’istruzione è innanzitutto un diritto fondamentale della persona, libera o reclusa che sia. In secondo luogo, è lo strumento principale di emancipazione da qualsiasi percorso criminale. Infine, la legge italiana lo elenca tra gli elementi di quel trattamento rieducativo che dovrebbe portare la persona detenuta a reintegrarsi nella società e a non commettere più reati. Dunque, il nostro ordinamento la considera un elemento di tutela della sicurezza.

Nelle ultime settimane abbiamo ricevuto varie segnalazioni in merito alla chiusura improvvisa e immotivata di corsi scolastici all’interno di carceri della provincia di Cosenza. Abbiamo scritto al Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale per la Calabria per chiedere smentite, conferme o motivazioni; ma non abbiamo ricevuto risposta. Abbiamo anche scritto al dirigente scolastico dell’istituto toccato dalla prima segnalazione, l’istituto professionale Ipseoa di Paola, ma anche da qui non abbiamo saputo nulla.

Sembra che oggi nelle carceri di Castrovillari, Paola, Rossano e Cosenza siano stati cancellati tutti i corsi di scuola secondaria superiore, se non per qualche classe quinta rimasta senza troppo criterio. Ben 34 classi sarebbero state soppresse. I docenti dell’istituto tecnico industriale Enrico Fermi di Castrovillari, destinatari di trasferimenti forzati, si stanno attivando per ricorsi a titolo personale. Gli studenti detenuti iscritti ai corsi, niente affatto in numero irrisorio, resteranno in cella a oziare sulla branda.

Nel corso del 2018 si sono iscritte a corsi scolastici 20.357 persone detenute, 2mila in più dell’anno precedente. A metà anno, risultava iscritto a qualche livello del percorso scolastico il 34,64% della popolazione carceraria italiana. Una percentuale sempre troppo bassa, se si considera lo scarso tasso di istruzione, e perfino l’analfabetismo, che ritroviamo in carcere. Ma comunque due punti in più rispetto alla medesima percentuale relativa a un anno prima.

Cosa sta succedendo a Cosenza? Come associazione che da quasi tre decenni lavora nel campo della promozione dei diritti e delle garanzia in ambito penale e penitenziario, chiediamo che ci venga data almeno una risposta.

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