Prima di parlare di qualsiasi riforma fiscale occorre “eliminare definitivamente gli aumenti delle aliquote Iva previsti per il prossimo biennio”. Che tradotti in numeri equivarrebbero a 51 miliardi di euro di maggiori imposte e porterebbero l’Italia “dalla stagnazione alla crisi conclamata”, con una riduzione del pil e dei consumi e un peggioramento dei conti pubblici. A (ri)lanciare l’allarme è stato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, dal palco dell’assemblea della confederazione a cui ha partecipato anche il vicepremier Luigi Di Maio. Che ha ribadito: “L’Iva non deve aumentare e non aumenterà neanche nella prossima legge di bilancio”.

“Siamo preoccupati”, ha aggiunto Sangalli, “perché vanno spiegati bene agli italiani quali passi concreti si stanno facendo per il recupero delle risorse per evitare gli aumenti dell’Iva”. Ma soprattutto “siamo preoccupati perché mi pare si comincia a respirare un clima politico e culturale di rassegnazione”. E “non possiamo accettare che si aumenti l’Iva per stanchezza, per mancanza di coraggio, per una sorta di inceppamento intellettuale che si arrende alla sfiducia, all’incapacità di progettare strategie alternative”. La conseguenza inevitabile sarebbe la “crisi conclamata”.

“Non è possibile che un commerciante, un imprenditore, debba pagare le tasse tutte e subito mentre questo non vale per i grandi monopoli del web”, ha poi attaccato Sangalli, sostenendo che tra le priorità della nuova Europa ci deve essere l’iniziativa per “il varo di un’efficace web tax”. “Ma l’Europa deve dimostrare anche saggezza nel paziente e faticoso lavoro dei trattati multilaterali e di ricucitura delle tensioni commerciali. Un’Europa, dunque, con il realismo per l’oggi e la saggezza per il domani. Che significa, poi, mettersi nella prospettiva dei giovani, quelli che considerano l’Europa come la dimensione naturale della loro cittadinanza. E spetta a noi rendere sempre più grande il loro orizzonte e sempre più forte il loro futuro”.

Il numero uno della confederazione ha poi avvertito dei rischi legati dal suo punto di vista alle proposte di legge sul salario minimo. “Sul salario minimo per legge, mi piace ricordare che il contratto collettivo, da sempre regolato in autonomia dalle parti sociali, è sempre di più uno strumento di organizzazione, di flessibilità, di tutele, di sistemi di welfare“. “Stiamo dunque attenti a non minarlo nelle fondamenta. Oggi il contratto collettivo è un concreto modello di ‘sostenibilità‘, che significa per noi sguardo lungo e qualità, qualità dell’impresa e del lavoro”. Anche se il terziario è caratterizzato da una situazione contrattuale certo non ottimale: per esempio Federdistribuzione, che riunisce i big della grande distribuzione organizzata, continua ad applicare il Ccnl scaduto nel 2013 perché al momento del rinnovo ha “divorziato” dalla Confcommercio.

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