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Il Pd di Zingaretti è una delusione: come quello di Renzi, va sempre verso destra

Il Pd di Zingaretti è una delusione: come quello di Renzi, va sempre verso destra
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Parto da un presupposto: un solido partito d’opposizione farebbe bene al Paese. Entro, idealmente, in Parlamento e vado a esclusione: Fratelli d’Italia è tra i banchi di minoranza, ma freme per un governo con la Lega (tanto che ai provvedimenti targati Carroccio, vedi decreto Sicurezza e legittima difesa, ha sempre dato l’ok); Forza Italia è ai minimi storici, sta vivendo la diaspora interna di quei transfughi che abbandonano la nave prima della fine e, a chi rimane, piano piano ci stanno pensando le Procure; così resta il Partito democratico. Che in teoria, volendola vedere con le categorie destra-sinistra, dovrebbe stare a sinistra. Ma che, spiace doverlo constatare, da quando Nicola Zingaretti ne è segretario, non ha avuto alcun cambio di passo.

Vado con ordine. La prima mossa del neo segretario è quella di farsi vedere a Torino, insieme a Sergio Chiamparino, per dire sì senza indugi al dio-Tav e per rincorrere quell’elettorato del “Nord produttivo deluso da Matteo Salvini” che, se non smaccatamente orientato a destra, senza dubbio è moderato. Restando in terra sabauda, il 1° maggio ci sono state tensioni tra No Tav e la delegazione dem. Risultato: Gianluca Guglielminotti, militante del Pd della Val Susa e in quel momento impegnato nel servizio d’ordine, prende a cinghiate i manifestanti; Joseph Gianferrini, dell’ufficio di presidenza del Pd torinese, gioisce pubblicamente in Rete perché “finalmente la polizia ha fatto assaggiare i manganelli” agli attivisti contrari all’Alta velocità. Bene così.

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Andiamo avanti con un tema tabù per l’Italia e per la sinistra italiana (mentre nel resto del mondo se ne parla e i politici che lo fanno vengono premiati): la famigerata patrimoniale. Già durante la corsa per le primarie, ai nostri microfoni, Zingaretti aveva detto no, sostenendo, visibilmente imbarazzato perché preso in contropiede: “Io credo nella progressività delle imposte, solo a quello”. Concetto ribadito a inizio aprile a Maurizio Landini: “Non è nel programma e non è una mia proposta”. Col nostro che ha dovuto rassicurare i parlamentari, in fibrillazione, a Montecitorio. Ma vi immaginate Andrea Marcucci al Senato e Maria Elena Boschi alla Camera, in piedi, a microfono acceso, a difendere la proposta di una tassa sui ricchi? No? Infatti, nemmeno io.

@albmarzocchi

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