“Mi rivolgo al presidente Macron: vada a vedere il nostro film, perché è un avvertimento del pericolo di violenza assoluta in cui versa la Francia, il vaso è quasi colmo e l’impressione è che nessuno ci stia ascoltando!”.  Parole forti, parole di passione civile quelle che il regista Ladj Lytuona alla conferenza stampa del suo Les Misérables, la prima vera sorpresa del concorso di Cannes 2019. Un dramma a tinte accese ed esplosive che mette in scena la dura legge della banlieue che non bada a colori di pelle, dati anagrafici e distintivi. Perché in fondo, una volta che ci sei entrato, puoi ben lasciare ogni speranza, dantescamente parlando. Ma il cineasta “deb” in lungo, l’unico del concorso, preferisce appellarsi al “locale” Victor Hugo il cui capolavoro è divenuto titolo del film oltre che sua ambientazione essendo girato nella periferia parigina di Montfermeil dove Hugo allocò il suo romanzo. Un crime-cop-urban movie che agli occhi e orecchie italiani rimanda alle atmosfere di Gomorra e de La paranza dei bambini, dimostrando – come lo stesso Roberto Saviano si trova sempre a ripetere – che la malavita generata nel ventre delle metropoli non differisce così tanto in base alle mappe geografiche.

Tre sono le piste narrative del film che intersecandosi confluiscono in un’unica: i poliziotti “di zona” che accolgono un nuovo arrivato, i bambini-teppistelli di quartiere fanno squadra con il loro leader Issa che ruba un cucciolo di leone da un circo limitrofo, e il gruppo islamico – che gravita attorno alla moschea locale con tanto di capi e “sindaci” auto-designati – protegge a suo modo gli abitanti. Una volta avvistato il colpevole del furto, tanto i gitani del circo quanto i poliziotti si mettono alla caccia di Issa e nella bolgia parte un colpo di pistola che viene – casualmente – filmato da un drone: consapevoli dei rischi che corrono, i poliziotti spostano la caccia al proprietario del drone il cui video diventa una sicura minaccia alla loro carriera. Adrenalinico e con scene d’action girate magistralmente, il dramma di questi “miserabili” porta alla luce tematiche d’attualità stringente ed eterne allo stesso tempo eterne, perché appunto già Hugo a suo modo, ne accusava la sostanza malvagia. “Ormai Parigi è a ferro e fuoco, sopravvivere nelle banlieue è disastroso socialmente e umanamente il punto è – accusa il regista – che da almeno 30 anni nessuno più ci dà attenzione: ecco perché la rabbia è esplosa coi gilets jaunes”.

Ladj Ly conosce la sua materia: non solo è nato e cresciuto nei “quartieri” descritti, ma gira ossessivamente il mondo circostante da quando ha 8 anni. Crescendo ha concentrato la propria attenzione sui poliziotti, su “come si muovono, parlano, agiscono”. Dai suoi girati è nato un corto omonimo a questo film che ha meritato una trentina di premi in giro per il mondo, poi divenuto il film ora in corsa per la Palma d’oro. Un film importante, magari non nuovo linguisticamente, ma pregno di personalità e di un’idea di cinema precisa, laddove lo statement di partenza inizia proprio con la gioia che accompagnò la vittoria dei mondiali da parte della Francia; bambini, ragazzi, persone di ogni età e colore tifano e festeggiano davanti alla Tour Eiffel alzando il tricolore nazionale: “Questa è la Francia che vogliamo, fate in modo che non lo sia soltanto con la vittoria nel calcio!”

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