“Fare il cattivo? Mi ha appassionato. Ho finalmente potuto esprimere invidia, slealtà, scorrettezza. Emozioni che non avevo mai esternato.” Ruben Giuliani, giovane talento del violino, è sincero. Dopo aver interpretato il cattivo “Natan” nella “Compagnia del Cigno”, la fiction di Rai 1 che avrà una seconda stagione, ha le idee chiare. “Il musicista che vive in un mondo a parte è frutto della letteratura romantica. La musica per me si nutre di esperienze altre. Recitare in tv mi ha permesso di conoscere altri lati di me”. Diplomato al Conservatorio Verdi di Milano, 22 anni, appassionato di fumetti, per fare l’avversario dei sette protagonisti della fiction si è ispirato ai personaggi della Marvel.

Affabile nella realtà, odioso nella fiction: interpretare l’altra faccia di se stesso è stato difficile?
Il ruolo di cattivo è stato una sorpresa sia per me sia per chi mi conosce. A furia di guardarmi, puntata dopo puntata, ho cominciato a odiarmi da solo. Purtroppo sono rimasto cattivo fino alla fine della serie. Anzi, nell’ultima puntata ho dato il peggio di me. Persino per strada i fan che mi riconoscevano mi chiedevano: ma sei davvero così cattivo nella vita? Ero imbarazzato. Sono il classico studente modello che si trattiene anche quando pensa di subire un torto.

Quale situazione che ha interpretato in tv è capitata davvero?
L’assegnazione del ruolo di primo violino a un altro in un concerto a cui tenevo molto. Ero davvero convinto di meritare quel posto, perciò ho vissuto quella scelta come un’ingiustizia. Ma poi ho accettato la sconfitta e mi sono interrogato sulla mia preparazione in quel momento. Nella fiction invece arrivo persino a distruggere l’autostima del compagno scelto al mio posto.

A quali personaggi si è ispirato?
Per alcune espressioni del volto ai cattivi dei fumetti della Marvel. Per creare invece l’idea di una perfidia più sottile, che crea il dubbio negli altri attraverso la finzione dell’amicizia, a Iago dell’Otello di Shakespeare.

Da musicista ad attore è stato difficile?
Il primo impatto è stato duro. Non sono un tipo espansivo ed estroverso. Ma dopo aver superato la serie di provini per il ruolo, mi sono appassionato sempre di più. L’acting coach che ci ha seguiti durante la lavorazione e le riprese è stata di grande aiuto. Del resto non ero solo. Alla prima edizione hanno partecipato anche Ario Sgroi (Robbo) ancora studente del conservatorio, e i diplomati Hildegard De Stefano (Sara) ed Emanuele Misuraca (Domenico). Inoltre i luoghi di alcune scene come il chiostro, l’ingresso, l’aula percussioni con la loro familiarità mi hanno messo a mio agio.

I suoi progetti?
Mi sono diplomato l’anno scorso (con lode e menzione d’onore per la profondità dell’espressione, ndr), in anticipo perché ho cominciato il triennio universitario mentre ero ancora al liceo musicale. Ora sto frequentando un master di perfezionamento al conservatorio di Lugano con il maestro Pavel Berman.  E ho appena saputo di essere stato preso nella nuova orchestra LaFil  – Filarmonicaa di Milano diretta da Daniele Gatti, che debutterà il 31 maggio al Palazzo delle Scintille a City Life. Parteciperò anche, dopo l’estate, al concorso internazionale Brahams Competition in Austria, dove ci si confronta con giovani interpreti da tutto il mondo. Tra i premi anche contratti”.

Cos’è per lei il violino?
E’ uno strumento versatile che permette di accostarsi a generi musicali diversi. Ha molto a che fare con la voce umana. Il suo suono non casca nel silenzio ma ha la possibilità di sostenere una frase. Ormai il suo timbro fa parte di me. Mio padre insegnava questo strumento nelle scuole e suonava spesso a casa. Io lo seguivo con la voce. E’ così che è nato tutto.

Quali sono per lei le caratteristiche di un primo violino?
Come primo violino dell’orchestra del conservatorio Verdi, ho capito che per veicolare un’emozione bisogna essere in grande empatia con il direttore d’orchestra e con la sua visione della musica. Ci vogliono concentrazione e precisione negli attacchi e nei tempi. “Cuore caldo e mente fredda”, affermava il direttore e compositore Pierre Boulez.

Quante ore si esercita al giorno?
Quattro o cinque. Perché ho anche altri interessi che trasferisco nella musica. Mi piacciono la poesia, il cinema, le mostre e i fumetti, sono anche tifoso della Juventus. Cerco di mettere insieme più aspetti della vita. La musica deve nutrirsi di stimoli. Anche lo yoga e altre discipline che lavorano sulla postura e sul benessere psicofisico, introdotte al Conservatorio di Milano, fanno parte della formazione del musicista di oggi.

Cosa prova quando suona da solo?
A volte non penso a niente. Altre volte penso alle cose da fare dopo. Il mito della catarsi del musicista sempre ispirato per me non esiste. E’ uno stereotipo. Posso dire, però, che in alcuni momenti ho bisogno di entrare in contatto con una sfera emotiva profonda. Allora c’è solo la musica.

Quali sono i suoi modelli di riferimento?
Tra i compositori Johannes Brahams, tra i violinisti il sovietico Leonid Kogan.

Il suo sogno?
Ho una visione ampia della musica. Sogno di lavorare sia come concertista sia come performer nell’ambito della musica etnica. Ho due anime, una classica e una folk. Adoro Brahams ma anche la musica ebraica e le tradizioni orientali, armena, persiana, indiana. Che rielaboro al violino aggiungendo la voce. Mi piacerebbe ripetere l’esperienza di attore. Ma prima di tutto viene la musica.

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