Cominciamo col battezzarlo col suo vero nome, il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri il 18 aprile scorso. Non tanto sblocca cantieri, quanto piuttosto sblocca tangenti. E proviamo ad associarlo a una vicenda politico-giudiziaria che – bizzarra coincidenza – è emersa negli stessi giorni: l’arresto del professore-faccendiere Paolo Arata, che nella sua ragnatela avrebbe avviluppato anche il sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri.

Cominciamo da quest’ultima storia, spaccato preoccupante dell’influenza di un ben radicato sottobosco politico-affaristico rispetto al “nuovo” ceto di governo leghista. Protagonista ne è un professore ex-politico, riciclatosi brillantemente col suo pacchetto di contatti e relazioni quale intermediario tra imprenditori – nell’ipotesi degli inquirenti sarebbe socio d’affari-prestanome di un impresario “re dell’eolico” siciliano, accusato di ripulire di capitali mafiosi – e alcuni interlocutori di provata fede salviniana. A questi ultimi sembra dettare la linea nel suo settore di business, quello delle fonti alternative di energia, lautamente sovvenzionate dalla mano pubblica: il suo capolavoro politico è un passaggio del “contratto di governo” che ne richiama l’esigenza.

Ma non si limita a questo: suggerisce nomine, sponsorizza candidati, propone emendamenti legislativi “incentivati” – secondo quanto emergerebbe dalle intercettazioni – dalla promessa di tangenti. Non manca un contratto di consulenza ministeriale presso gli uffici del numero due leghista Giancarlo Giorgetti per il figlio del faccendiere, in virtù delle sue auto-dichiarate “competenze in ambito economico e internazionale”. In questo scenario inquinato da opachi canali di pressione, con rivoli dove confluirebbero capitali mafiosi, spicca il coinvolgimento del sottosegretario Siri, che secondo gli inquirenti avrebbe lasciato le impronte digitali su alcuni tentativi, non andati in porto, di modificare provvedimenti legislativi in modo congruente agli interessi del suo patrocinatore.

Ed eccolo, il nesso mancante col decreto sblocca-tangenti, questa liberalizzazione dell’appalto pubblico che rischia di trasformarsi in un “liberi tutti” per corrotti e corruttori. E’ stato un vero e proprio coming out quello del sottosegretario leghista alle Infrastrutture Siri, l’unico che abbia messo la faccia sullo smantellamento del codice degli appalti dandogli una giustificazione para-ideologica: basta con l’Autorità anticorruzione e con l’impiccio di regole e controlli, da questa faticosamente imbastiti tramite linee guida. Qualsiasi vincolo di legalità è da considerarsi al pari di una “malattia autoimmune”, giacché nella gestione degli appalti occorre soprattutto “buon senso”.

Oltre a teorizzare questa eutanasia delle politiche di prevenzione della corruzione – sempre in nome del “buon senso” -, nel tempo libero Siri è diventato l’artefice della formazione politica dei quadri della Lega-Noi con Salvini. A Siri e alla sua associazione politico-imprenditoriale il compito di illuminare le menti delle nuove leve del trionfante potere leghista, in un modulo dedicato a “etica e politica”, con tali perle di saggezza: “Avere chiara la consapevolezza che ciò che siamo fuori non è altro che il riflesso di ciò che siamo dentro e così il destino non è altro che ciò che abbiamo deciso coscientemente riguardo alle nostre sorti”, giacché – si immagina a seguito dell’avvento leghista – vi “sarà un’epoca nuova in cui il pensiero, dopo secoli di oscurità, tornerà a splendere nel cuore degli uomini. Sarà il tempo della demosophia, la sapienza degli uomini che tutti insieme potranno davvero sentirsi un Popolo degno di questo nome”.

In attesa dell’avvento della demosophia, accontentiamoci di un po’ di sana vecchia cleptocrazia (potere dei ladri, per intenderci), la forma di governo che incombe sull’attuazione del decreto sblocca-tangenti incensato da Siri. Secondo tutti gli operatori, il moltiplicarsi e l’instabilità delle regole, il continuo affastellarsi di nuove norme e procedure sono i principali responsabili di vischiosità, ritardi, sprechi nel sistema degli appalti. Proprio quando il codice degli appalti stava entrando a regime, tanto che le gare bandite sono aumentate di circa il 30% nel 2018, ecco entrare in vigore la contro-riforma che rivoluziona ben 32 su 220 articoli, una nuova stratificazione di disposizioni tutte da capire, leggere, interpretare, coordinare con quelle preesistenti.

Nel provvedimento si intravvedono però alcune linee ispiratrici, che ne svelano la natura potenzialmente criminogena: “Stiamo costruendo un’autostrada all’illegalità”, ha commentato il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. Eccolo qua il “buon senso” del decreto sblocca tangenti:

1. innalzamento vertiginoso a 200mila euro della soglia finora prevista per procedure negoziate e affidamenti diretti di lavori senza gara, previa “consultazione di tre operatori”;
2. ritorno in pompa magna del prezzo più basso per lavori fino alla soglia europea di 5,5 milioni di euro, meccanismo integrato da un astruso calcolo delle soglie di esclusione, da sempre pane quotidiano dei cartelli di imprenditori che truccano le gare;
3. percentuale più elevata, fino al 50%, di lavori liberamente subappaltati dalla ditta vincitrice – quota del tutto liberalizzata per i consorzi di imprese;
4. abolizione delle linee guida dell’Autorità anticorruzione, sostituite da un regolamento governativo;
5. reintroduzione (per pudore limitata intanto ai prossimi due anni) dell’appalto integrato, ossia quelle gare in cui sono i costruttori a farla da padroni proponendo progetti definitivi ed esecutivi – premessa per il moltiplicarsi di varianti in corso d’opera, contenziosi, paralisi dei lavori;
6. eliminazione dell’albo dei direttori e dei lavori negli appalti affidati da contraenti generali – azzerando ogni qualifica per i professionisti incaricati;
7. cancellazione del divieto di affidare lavori in subappalto a imprese partecipanti alla gara, di norma contropartita negli accordi preliminare per concordare le offerte;
8. per finire, ciliegina su una torta maleodorante, moltiplicazione a discrezione dell’esecutivo di figure commissariali straordinarie con poteri in deroga alla legislazione ordinaria e allo stesso codice degli appalti. Si tratta, per chi si fosse distratto, del modello criminale della “cricca della protezione civile” innalzato all’ennesima potenza.

Uno scenario plausibile potrà delinearsi a seguito dalla futura applicazione dal decreto sblocca tangenti, e non quello della demosophia di un “Popolo degno di questo nome”; somiglia piuttosto all’Eden della corruzione futura, fatto di poteri arbitrari dei decisori pubblici, liberi da qualsiasi reale supervisione e convertiti in tangenti variamente dissimulate; impoverimento di competenze progettuali e poteri di controllo dell’amministrazione pubblica; ferrei accordi collusivi tra imprenditori, per cancellare qualsiasi parvenza di concorrenza; invisibili infiltrazioni mafiose nei subappalti. Tutto questo in nome del “buon senso” invocato dal sottosegretario Siri.

Lo stesso “buon senso” che potrà indurre qualche amministratore pubblico pragmatico e di malleabile moralità ad accordarsi con imprenditori voraci, per attingere abbondantemente dalla cassaforte degli appalti pubblici come già negli anni ruggenti di Tangentopoli. Un tesoretto di circa 200 miliardi di euro all’anno che, c’è da scommettere, d’ora in avanti sarà in parte convogliato a rimpinguare bilanci di imprese parassitarie ma dalle buone entrature politiche, come quelle promosse dal faccendiere vicino alla Lega, ma anche a finanziare partiti e carriere in ascesa, campagne elettorali, propaganda, martellanti campagne social.

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