Vede la luce oggi, domenica 14 aprile, a Roma la lista della sinistra non Pd per le Europee. Solo per arrivare a questo piccolo risultato – che non comprende neppure la componente bersaniana di Mdp, né i Verdi -, la fatica è stata tanta. E la possibilità di superare lo sbarramento del 4% per questa e altre liste minori sembra tutt’altro che scontato.

Così in Italia. Guardando invece a un’orizzonte più ampio, come sta messa la sinistra nell’Ue? Un tentativo di risposta l’ho azzardato ne El Pueblo Desunido, mini-inchiesta in forma di podcast, realizzata ascoltando diverse voci, da Podemos a Syriza, da Rifondazione a Diem25 – il nuovo esperimento politico dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis.

Parliamoci chiaro: la politica europea si gioca in tanti Paesi prima di arrivare a Bruxelles e in ognuno di essi la partita è diversa. Il termine “unità”, tanto caro alla tradizione della sinistra, non sembra il più appropriato alla competizione elettorale su scala continentale. La sinistra socialista e socialdemocratica, al momento è al governo solo in Portogallo, Spagna, ma sembra in ribasso un po’ ovunque in vista del voto europeo di maggio. Sconta una crisi che dura da tempo. Una malattia che sembra legata a un ciclo storico, che a un malessere passeggero.

La malattia della sinistra di governo, sembrerebbe una ragione in più per rilanciare una proposta alternativa. Soprattutto da parte di chi negli ultimi anni ha contestato le scelte politiche del Pd di Matteo Renzi o dei socialdemocratici tedeschi, ancora in coalizione a Berlino con Angela Merkel. Eppure la sinistra alternativa europea si presenta, a 40 giorni dal voto, come una galassia divisa. Da un lato troviamo la coalizione trainata dal greco Syriza, dalla Linke tedesca e da quel che resta della gauche francese: sono i più possibilisti nei confronti di una coalizione con socialisti e liberali, in nome di un grande fronte comune contro sovranisti e populisti anti-Ue.

Dall’altro invece un’aggregazione di “duri e puri”, che vede in prima fila La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e l’ala più radicale dello spagnolo Podemos. Infine la creatura di Varoufakis, che si è auto-candidato alla presidenza della Commissione europea, senza tuttavia ottenere l’appoggio di nessuna delle componenti della sinistra radicale (tranne evidentemente la formazione da lui ideata).

Formalmente, tutte queste componenti sono unite dalla critica all’austerity decisa da Bruxelles e supportata, almeno in parte, dalla coalizione tra socialisti e popolari che ha sostenuto la Commissione Juncker. In realtà, come accennavo sopra, le divergenze tra “duri” e “dialoganti” nella critica all’Ue sono molto ampie, tanto che è difficile immaginare che la sinistra radicale possa fare sentire la propria voce in modo efficace.

E dire qualcosa di sinistra, in Europa, rimarrà probabilmente un miraggio.

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