di Luigi Manfra*

Una recente ricerca dell’Ispi afferma che in Italia, negli ultimi sei mesi del 2018, 45mila migranti hanno visto respinta la loro richiesta d’asilo, mentre alla fine del 2020 tale cifra crescerà ulteriormente arrivando a 140mila persone. Come è noto, questo fenomeno è l’effetto diretto del decreto Sicurezza varato dal governo gialloverde, che ha ristretto le forme di protezione che consentono l’accoglienza nel Paese. La pressoché totale cancellazione della protezione per motivi umanitari, concessa a persone in fuga da conflitti, persecuzioni, disastri naturali o altri gravi eventi, ha ridotto la percentuale di migranti accolti, dal 25% del totale dei richiedenti asilo del 2017 a poco più del 2% nel gennaio di quest’anno.

Purtroppo gli esclusi dall’accoglienza non verranno rimandati a casa, ma andranno a ingrossare le file degli irregolari, il cui numero continua a crescere. I rimpatri, infatti, continuano a restare modesti: “In questi primi otto mesi di governo complessivamente si viaggia a una media di 18 rimpatri al giorno, leggermente inferiore alla media del governo precedente, 18,7. Appare quasi superfluo sottolineare che, con questi numeri, per effettuare i 600mila rimpatri promessi da Matteo Salvini servirebbero più di 90 anni”.

In realtà per avviare un’efficace politica dei rimpatri manca, oltre agli accordi con i Paesi di provenienza – in genere molto restii a riprendersi i propri connazionali -, un censimento degli irregolari per verificare se sono ancora presenti in Italia. Il compito non è facile, ma esiste una banca dati al ministero degli Interni da cui partire, dove sono inserite molte informazioni di quelli che hanno visto respingere la propria domanda d’asilo. In un mio post del giugno 2018 scrivevo che i decreti di espulsione emessi erano 216mila, a cui andavano aggiunti 66mila clandestini di cui la Polizia ha nomi, cognomi e nazionalità, perché identificati e definiti irregolari a causa dei permessi di soggiorno scaduti o mai rilasciati. Secondo i dati aggiornati a tutto il 2018, le espulsioni sono ulteriormente aumentate raggiungendo la cifra di 254mila. A quella stessa data giacevano presso le commissioni di valutazione 313mila domande d’asilo non ancora espletate, che con il decreto Sicurezza saranno nella maggioranza dei casi respinte. Il numero degli irregolari, già molto elevato, grazie al decreto Sicurezza è quindi destinato a crescere ulteriormente.

Se il governo gialloverde volesse affrontare seriamente il problema, dovrebbe cominciare proprio da questo censimento e con un accurato lavoro investigativo dovrebbe accertare il numero degli irregolari, la loro provenienza e anche la loro presenza in Italia. Soltanto a questo punto andrebbe deciso il da farsi, tenendo conto dell’estrema difficoltà di rimandarli nel loro Paese d’origine. Il principale ostacolo al rimpatrio non sono i costi, comunque non indifferenti, ma l’accertamento dell’identità e della cittadinanza delle persone e la volontà dei Paesi di origine di riprendere i loro cittadini. Va sottolineato come il decreto Sicurezza si fondi su tre aspetti principali:

1. fermare gli sbarchi;
2. rendere più restrittivi i criteri di accoglienza;
3. espellere gli irregolari al fine di contenere le inquietudini degli italiani.

Mentre il primo e il secondo punto, con costi umani non indifferenti, appaiono sostanzialmente raggiunti, per il terzo l’impresa appare ardua, perché l’aumento del numero degli irregolari farà crescere l’insicurezza dei cittadini se non accompagnata da un sostanziale incremento dei rimpatri, come era stato promesso dal governo. Questa contraddizione tra le assicurazioni roboanti più volte declamate dal ministro degli Interni e la realtà dei fatti era facilmente prevedibile, ma l’aumento degli irregolari forse era proprio ciò che si voleva ottenere dal decreto, per evidenti motivi di consenso elettorale. Se il governo vuole perseguire efficacemente l’obiettivo che dà il nome a questa legge, cioè aumentare la sicurezza in Italia, dovrebbe prendere ufficialmente atto che i rimpatri di centinaia di migliaia di persone non sono un obiettivo realizzabile in tempi ragionevoli.

Se si vuole risolvere il problema degli irregolari non resta altra strada che fare una sanatoria sulla base del censimento precedentemente proposto, e stilare una graduatoria dei beneficiari sulla base di criteri da concordare con le varie istituzioni pubbliche e private che si occupano di questi temi. Del resto, già il governo Berlusconi nel 2011 regolarizzò 750mila migranti con effetti positivi per il Paese. I risultati di un tale provvedimento sarebbero positivi sia nel breve che nel lungo termine. Nel breve si ridurrebbe, innanzitutto, il numero di persone costrette a sbarcare il lunario in mille modi, non sempre legali. Forse si ridurrebbe il lavoro nero nelle campagne – dove lo sfruttamento dei lavoratori irregolari raggiunge un livello da terzo mondo – e infine si consentirebbe a centinaia di migliaia di migranti di emergere dalla clandestinità a cui oggi sono costretti.

In un orizzonte temporale più lungo non va dimenticato, inoltre, che l’Italia ha un indice di vecchiaia – cittadini con più di 65 anni d’età – del 23%, il più alto d’Europa, frutto di una persistente denatalità che dura da molti anni, e ha quindi bisogno di giovani se si si vuole evitare il declino economico del Paese.

* Responsabile scientifico del Centro studi Unimed, già docente di Politica economica presso l’Università Sapienza di Roma

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