Per rispondere ai gilet gialli, il presidente Emmanuel Macron ha indetto il cosiddetto Grande dibattito nazionale”. Si è trattato di convocare assemblee cittadine per stilare dei cahiers de doléances e di interpellare numerosi intellettuali. Ma i cahiers erano precisi, scritti a livello “micro”, non generiche rivendicazioni come “la giustizia”, “la redistribuzione”, o l’amore per la mamma, per usare la critica di Bruno Latour.

Un’analisi presentata da Pierre Serna su Le Monde proprio rievocando quell’esperienza in relazione al Grande dibattito nazionale, ci dice che il Terzo Stato parigino aveva un’idea molto chiara: voto di una nuova costituzione da parte dei deputati, tassazione dei ricchi, divieto per il re di imporre nuove tasse per i beni di prima necessità. I contadini mostrano un altro lato, altre domande non meno precise: se i prezzi aumentano, com’è che i poveri non ricevono nulla della ricchezza ostentata dai possidenti? Perché non possono più accedere ai diritti comuni, per esempio il legnatico, come i loro genitori facevano? Perché non possono spigolare e le bestie dei signori hanno la precedenza sul loro diritto a nutrirsi?

Insomma una risposta flebile, caotica e anche furba, quella di Macron: non si trattava di discutere, ma di rispondere a questionari. Nonché di desumere dalla messe di dati indicazioni “pratiche” per il governo. Un dibattito che non ha portato praticamente da nessuna parte. Il tentativo è stato quello di sottrarre un’arma alla protesta, e anche di riprendesi la “scena” mediatica. I gilet gialli hanno risposto con il “vero dibattito”, molto più democratico e organizzato su una piattaforma online.

Queste faccende evocano il problema della rappresentanza e i modi di superare quella che ormai sembra un’impasse delle democrazie occidentali: è bene che i cittadini inizino a contare qualcosa? E come ciò può essere realizzato?

Il modello della democrazia deliberativa – che il Grande dibattito e il “vero dibattito” richiamano alla mente – in qualche modo tenta di superare le astrazioni novecentesche di ispirazione kantiana sulla decisione politica come dovrebbe essere, o come sarebbe se essa derivasse da attori razionali che parlano tra di loro. Astrazioni, per l’appunto: cosa succederebbe se i locutori razionali si riunissero in una sala per decidere i principi di giustizia, ignari delle proprie condizioni specifiche, obnubilati da un velo di ignoranza?

Ma la domanda non è “cosa decideremmo se”, bensì “cosa vogliamo davvero”. Dal contrattualismo ipotetico a forme di contrattualismo “concreto”. Funziona? Non lo so. I neo-élitisti ci hanno insegnato che il dibattito può essere orientato, mandato sul binario morto della non-decisione. Ci hanno insegnato che si può dibattere su argomenti che sono il frutto della mobilitazione del pregiudizio, appositamente attivata al fine di discutere di cose che non ci porteranno da nessuna parte. E anche le forme di democrazia partecipativa al piccolo livello dei comuni e dei quartieri ci hanno mostrato diversi punti deboli: il fatto di lavorare per le amministrazioni e dover per forza portare a casa il risultato, di espungere le posizioni estreme e critiche in favore di soluzioni “moderate”.

Se tutto questo è vero, ciò che c’è di nuovo è la grande possibilità di attivare piattaforme informatiche. Certo anch’esse manipolabili, ma la possibilità tecnica apre spazi enormi. Si potrebbe partire dalle domande: siete contenti del vostro livello di potere in quanto cittadini? Ritenete che le vostre indicazioni siano rispettate dai vostri rappresentanti? E ancora: è sufficiente, per esprimere un giudizio su questi temi e per prendere decisioni conseguenti, votare?

I gilet gialli, dal canto loro, auspicano l’introduzione dell’istituto del recall per destituire con un referendum un rappresentante dello Stato. Esiste in California (Gray Davis fu “richiamato” e venne poi eletto Arnold Schwarzenegger) e in altri 14 Stati, in alcuni cantoni svizzeri ed era previsto nella Comune di Parigi.

Si tratta dell’onda lunga del dibattito americano tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, tra Federalist e Brutus, il monarcomaco che uccise il tiranno che voleva accentrare il potere nelle proprie mani. All’epoca di quel dibattito la fazione di Brutus perse e si inabissò. Ma il dibattito è ancora aperto.

Che queste esperienze di discussione portino poi a chiusure dogmatiche, alla nascita di partiti con espulsioni, censure, verticismi, non significa che questi input di democrazia deliberativa vadano buttati a mare. La via è interessante.

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