Qualcuno prova già a suggerire l’appellativo di “multopoli”. Ad oggi si sa solo che ci sono 197 indagati e che i disgravi illegittimi potrebbero raggiungere quota 16,5 milioni di euro. Denaro sottratto ingiustamente alle casse del Comune di Roma, con la compiacenza di dirigenti e funzionari. Persone, i beneficiari, che secondo quanto scrive la Procura di Roma sarebbero “non estranee” a enti, organi o corpi di polizia come “presidenza del Consiglio dei Ministri, Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Regioni, Province e Comuni, Prefetture ed Autorità Giudiziarie”, le quali potrebbero aver abusato della loro posizione per farsi cancellare multe prese non nell’esercizio delle loro funzioni, bensì da semplici cittadini.

Sarebbero ben 132.679 le voci di ruolo sospette su cui in questi anni sono concentrate le indagini condotte dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Francesco Dall’Olio. Al centro dello “scandalo” un ex vigile poi divenuto dirigente del Comune di Roma, Pasquale Libero Pelusi, che – con la complicità di due sue sottoposte – dal gennaio 2008 al maggio 2015 avrebbe eliminato le sanzioni dal sistema informatico capitolino accontentandosi di giustificazioni “fittizie” rese dai protagonisti. Il primo provvedimento preso dal Tribunale di Roma è arrivato il 17 gennaio scorso, con il decreto di sequestro per circa 1 milione di euro nei confronti di alcuni imprenditori e Società romane che si erano fatte togliere decine di multe.

IL PRIMO DECRETO DI SEQUESTRO – Abusi perpetrati sulla base di ricorsi fittizi dove gli intestatari dei veicoli rendevano anche giustificazioni false. Fra questi Claudio Lotito, titolare di due società, la Roma Union Security srl e la Snam Lazio Sur srl. Dal decreto di sequestro preventivo nei confronti di alcuni degli indagati, si evince come il presidente della Ss Lazio – che dal telefono intestato al club biancoceleste parlava direttamente con i funzionari capitolini – nelle sue richieste di disgravio affermasse che “le infrazioni erano state commesse da autovetture impegnate nel dispositivo di tutela dello stesso” mentre, “nella realtà, si trattava di veicoli utilizzati per finalità aziendali, intestati alle citate società” e che procuravano a queste “un ingiusto profitto”, per un totale di oltre 53.000 euro.

Nel pomeriggio la società biancoceleste ha diffuso un comunicato: “In riferimento alle notizie stampa, radiofoniche e televisive relative alle contravvenzioni del Comune di Roma, i legali del Presidente della S.S. Lazio Claudio Lotito comunicano che si tratta di un clamoroso equivoco che verrà prontamente chiarito nelle sedi competenti e precisano che le cifre contestate si riferiscono a multe di circa 15 mila divenute 26 mila per effetto delle sanzioni previste dalle cartelle, che riguardano macchine intestate a società di cui il Presidente è socio”. Da parte sua, il presidente laziale, raggiunto telefonicamente da IlFattoQuotidiano.it, fa sapere attraverso il suo legale che si tratterebbe di “un clamoroso equivoco che stiamo già lavorando per chiarire”. Secondo gli avvocati, le persone che avevano preso la multa erano effettivamente degli agenti di pubblica sicurezza, adibiti alla scorta dell’imprenditore. Questi, secondo il racconto del legale, guidavano la macchina intestata a Lotito avendo lui rinunciato alle auto blindate dello Stato. “Pago 6 milioni di euro l’anno solo di anticipo di tasse, perché mai dovrei aver armato tutto questo caos per poche migliaia di euro di multa?”, ha commentato il patron biancoceleste. Evidentemente i pm della Procura di Roma non sposano questa tesi.

Oltre alle aziende di Lotito, la Procura ha disposto il sequestro per beni e conti correnti legati ad altri imprenditori e società che si occupano per lo più di vendita, noleggio e leasing di autovetture, in particolare Davide Colaneri (792.000) titolare del noto Gruppo Colaneri, la Finrama srl, la Codasan e l’Europa Rent srl. In solido sono stati chiamati a rispondere Pelusi, all’epoca dei fatti diventato dirigente dell’Ufficio Contravvenzioni, e le sue sottoposte Laura Cirelli e Maria Rita Rongoni.

IL CARABINIERE E IL POLIZIOTTO – Come detto, la pratica attribuita al patron biancoceleste era parecchio diffusa. Anche fra persone legate alle forze dell’ordine. E’ il caso di un carabiniere in pensione e di un poliziotto, che secondo gli inquirenti avrebbero “prodotto falsa documentazione giustificativa, recante le intestazioni ed i timbri di reparti di forze di polizia”, come commissariati e caserme dei Carabinieri, utilizzati “a supporto degli indebiti discarichi nell’ambito del sistema truffaldino in uso presso il Dipartimento Risorse Economiche di Roma Capitale”. Non è un caso che una delle sanzioni stralciate fosse stata elevata alla moglie del carabiniere, grazie a una richiesta formalmente intestata alla Stazione Salaria. In generale, nei verbali allegati al decreto si evince come spesso la richiesta di disgravio venisse giustificata con la voce “servizio di polizia giudiziaria” anche in riferimento a chi non poteva essere minimamente riconducibile a qualsiasi forza di polizia.

LA “FIRMA AD ONDA” DI PELUSI – In tutto questo sistema, secondo gli inquirenti era centrale il ruolo dei dipendenti capitolini i quali “formavano false richieste di discarico delle cartelle esattoriali”, spesso “riportando quali firme dei diversi richiedenti tratti di scrittura del tutto similari, comunque non leggibili, individuati da una cosiddetta ‘firma ad onda’ per velocizzare le operazioni indebite”. Tutto ciò “abusando dei poteri di pubblici ufficiali”. E’ per questo che ora la Procura dovrà verificare, una per una, le oltre 130.000 multe disgravate in 7 anni dall’ufficio guidato da Pelusi per capire quante e quali di quelle sanzioni siano state oggetto delle stesse pratiche fin qui accertate dagli inquirenti.

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