Passavano i treni, col loro carico di sofferenza e di paura: la gente chiusa nei carri bestiame diretti in Germania, ai campi di lavoro. E lui aveva avuto quei treni davanti agli occhi tutti i giorni, quando andava a lavorare al ristorante della stazione di Viareggio. Così Spagnolo Spagnoli, un giorno di quasi ottant’anni fa, decise che era il momento di agire: cominciò a camuffare i prigionieri che i nazisti facevano scendere per prendere aria, li travestiva da camerieri e – una volta lontani dai binari – li faceva scappare. Una storia di coraggio estremo che è rimasta nascosta anche ai familiari più stretti del ristoratore viareggino. Sfidò la macchina delle deportazioni per salvare decine di persone catturate dopo l’8 settembre 1943, ma non l’ha saputo nessuno per settant’anni. Quasi nessuno: Spagnoli morì giovane, a 46 anni, ma è rimasto un testimone oculare, l’unico in vita. E’ un pittore ancora in attività, si chiama Giorgio Michetti e oggi ha 107 anni.

Sulla sua testimonianza si basa il docu-film L’eroe silenzioso. prodotto da Rossocarminio, con filmati d’epoca e riprese originali di Eva Braun, la compagna di Adolf Hitler, ma anche rare immagini degli Internati militari italiani, in possesso del Fondo Vialli e dell’Istituto Parri di Bologna. “Questo fatto è rimasto oscurato – spiega il regista Massimiliano Montefameglio – perché Spagnoli era molto riservato e non si è mai vantato di quello che ha fatto. L’ha giudicato un dovere tra esseri umani”. Nato nel 1906 a Viareggio, Spagnolo Spagnoli – molto credente, socio della Misericordia – aveva ereditato il ristorante dentro la stazione dalla famiglia. Da lì vedeva passare le centinaia di italiani ammassati all’interno dei carri bestiame. Così trasformò il ristorante nella via di salvezza. “Camuffava i prigionieri in modo che apparissero come parte del personale e, con la scusa di farli andare al bar per sistemare le cose, li faceva scappare” racconta Montefameglio. Un escamotage ingegnoso ma pericolosissimo, che richiedeva una grande rapidità: “Quando i convogli arrivavano alla stazione, i tedeschi aprivano i vagoni per dare un po’ d’aria agli ambienti e, in quel momento, Spagnoli riusciva a farli scendere grazie a un lavoro di squadra: qualcuno dei collaboratori di Spagnoli distraeva i soldati tedeschi che sorvegliavano i treni” e nel frattempo i prigionieri venivano vestiti da camerieri. Un’azione di “una pericolosità estrema perché se fossero stati scoperti i tedeschi li avrebbero uccisi”.

“Sì, se si fossero accorti li avrebbe ammazzati” ricorda il pittore Giorgio Michetti. Se lo ricorda quando Spagnolo decise di entrare in azione: “Mi disse: ‘Quando il treno è fermo, facciamo scendere qualcuno in fretta e gli mettiamo la cassetta delle bibite addosso, dandogli anche la divisa e il berrettino’”. E’ grazie a Michetti se ora questa storia è diventata nota: “Raccontai questa vicenda per caso durante un consiglio comunale, un paio di anni fa. Se non ci fosse stata quell’occasione non lo avrei detto a nessuno perché credevo che non interessasse”. Quante persone è riuscito a salvare? “Non lo sappiamo – risponde Michetti – Sicuramente sono state almeno 25 o 30. E’ una grande cosa, specialmente per Viareggio”.

I prigionieri non erano ebrei: quei treni passavano da una linea diversa da quella di Viareggio. In quei carri c’erano invece gli internati militari italiani, cioè tutti i soldati che dopo l’armistizio dell’8 settembre decisero di non collaborare con i nazisti e i fascisti. “Sono stati una parte importante della nostra storia – sottolinea ancora Montefameglio – Furono deportati quasi un milione di persone e rappresentano la prima luce di resistenza“.

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