L’ultimo caso riportato dalle cronache riguarda un asilo di Pero, vicino Milano, dove un maestro maltrattava i bambini. Il governo in carica punta molto sull’efficacia delle telecamere di sorveglianza installate negli istituti. Ma oltre ai maltrattamenti fisici vanno considerati quelli psicologici, gli atteggiamenti potenzialmente traumatici da parte di insegnati della scuola dell’obbligo: si tratta di una casistica meno evidente e clamorosa, ma che può lasciare segni profondi.

All’inizio dell’anno, a Roma un professore di scuola superiore venne arrestato dopo la denuncia da parte di una alunna quindicenne di un corteggiamento talmente serrato da sfociare in vere a proprie molestie.

Diciamo subito che – a parte alcuni fenomeni che rasentano la devianza criminale – molti casi di comportamenti censurabili da parte di insegnanti sono da addebitare a un sistema che li lascia sostanzialmente soli, ad affrontare un compito gravoso, con una delicatezza estrema di rapporti e relazioni, di grande responsabilità e avvertito come ben poco considerato a livello sociale, politico e istituzionale. Una “solitudine” che si manifesta anche con l’assenza pressoché totale di meccanismi di valutazione.

Non si tratta di sottoporre a giudizi, ma di valutare lo stato di lavoro dell’insegnante, proprio per riuscire a fornirgli un supporto adeguato anche in casi di disagio personale, prima che si riversino su bambini e adolescenti.

Già da tempo- ad esempio – Antonio Marziale, fondatore dell’Osservatorio sui minori e Garante per l’infanzia della Regione Calabria, ha chiesto al Miur che quella degli insegnanti venga riconosciuta come una professione emotivamente usurante, sottoponendo gli insegnanti periodicamente ad una visita psicologica per certificare la sussistenza dei requisiti necessari per lavorare a stretto contatto con i bambini.

Per il momento – però – pare restare un argomento tabù. Una scappatoia per aggirare il disinteresse da parte delle istituzioni, ci sarebbe: il ricorso a un accordo europeo che consente l’avvio di un processo di sostegno e valutazione, ma sarebbe affidato di fatto ai singoli dirigenti scolastici, lasciandoli soli a sostenere la scelta.

Quello della valutazione in generale è un problema che da tempo pesa sul sistema italiano dell’istruzione, giudicato eccellente sotto altri parametri.

Ogni cinque anni l’Osce svolge uno studio accurato. Il più aggiornato verrà rilasciato alla fine di quest’anno e dunque i dati disponibili sono quelli del 2013.

Risulta che di fatto non sono praticati sistemi di valutazione formale del lavoro degli insegnanti. Solo il 30% degli insegnanti dichiara che i dirigenti svolgono la pratica di una qualche valutazione formale, contro il 93%  della media degli altri paesi. Oltre all’Italia non hanno sistemi di valutazione anche Finlandia e Svezia, dove però gli insegnanti dichiarano di sentirsi una categoria socialmente molto considerata.

A livello informale, il 57% dei docenti dichiara di aver ricevuto una qualche forma di feedback da una o più fonti nella scuola in cui lavorano, contro l’88% della media degli altri paesi.

Tanto per fare un paio di esempi, in Belgio solo il 2% degli insegnanti non ha mai avuto una valutazione formale, sebbene il 14% dichiari che non ha mai ricevuto un feedback. Inoltre i docenti percepiscono il loro status professionale come piuttosto elevato: ben il 46% pensano infatti che la professione docente sia apprezzata a livello sociale.

Anche in Olanda solo il 2% risulta non avere avuto esperienza di valutazioni in termini formali e il 6% non ha ricevuto feedback dal proprio dirigente.

Se venisse attivato a livello istituzionale, il “protocollo” sullo stress correlato al lavoro già solo a in termini di direttive prevederebbe di stimolare la consapevolezza degli insegnanti, aiutarli a comprendere le cause dello stress e il modo in cui affrontarlo: un percorso che vuol dire, tanto prevenire, quanto affrontare situazioni critiche, anche con un sostegno psicologico.

Resta poi da vedere quanti insegnanti sarebbero disposti a sottoporsi a verifiche periodiche di idoneità che non si basino solo sul rendimento e anche se le leggi consentano una verifica psicologica costante: siamo in un Paese in cui tutto quel che attiene all’idoneità psichica viene considerato quasi offensivo, non solo nell’insegnamento, ma anche – ad esempio – nel sistema dei servizi sociali, della delicatissima giustizia minorile, in generale delle professioni che incidono sulla vita dei più deboli. E si finisce per correre ai ripari quando il danno è in parte già fatto.

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