“Quando sono entrato in quella casa ho baciato i muri. Ero stato sfrattato da poco tempo e quell’appartamento era una salvezza per me e per la mia famiglia. Oggi in quei muri vedo solo la paura di morire”. Antonio Magliocchi è uno dei residenti di viale Archimede 16, noto a Bari come il palazzo della morte e oggi riconosciuto dalla procura del capoluogo come “la terra dei fuochi”. Sua figlia sta combattendo contro un tumore. E non è la sola. Nello stesso stabile, infatti, 21 persone si sono ammalate di neoplasie rare a partire dalla metà degli anni Novanta.

Il ruolo della discarica
Tutte, secondo i magistrati, sarebbero attribuibili alla “esposizione dei condomini ad una sicura fonte di inquinamento ambientale rappresentata da prodotti di combustione provenienti dall’area oggi occupata dalla collinetta ecologica”. Il pm Baldo Pisani – che ha coordinato le indagini condotte dai carabinieri – pur confermando il ruolo dannoso della vecchia discarica, chiusa nel 1971 ma messa in sicurezza definitivamente a partire dal 1989 fino al 1997 – ha comunque deciso di chiedere l’archiviazione dell’inchiesta “perché non è possibile perseguire i responsabili e non c’è più un pericolo attuale”.

“Questione di carattere pubblico”
Ma i residenti ritengono che la loro paura non si possa archiviare: così sono costituiti in un Comitato per opporsi alla decisione della Procura. “È una questione innanzitutto di carattere pubblico – spiega Michele Laforgia, difensore delle famiglie – Ciò che noi chiediamo alla magistratura è un esame epidemiologico su tutta l’area per capire se c’è rischio di tumori per le palazzine adiacenti e per le scuole”. Per Laforgia questo è un’indagine tutta da rifare: “Manca, per esempio, una perizia che racconti le modalità di messa in sicurezza della discarica”.

Il medico legale: “Preoccupati da periodo di latenza”
La preoccupazione maggiore, come conferma il medico legale Davide Ferorelli, è il periodo di latenza della malattia, che può andare anche “da 10 a 40 anni a seconda della tipologia di tumore”: nonostante la bonifica, dunque, i casi di cancro e le neoplasie potrebbero manifestarsi nel prossimo futuro. Una spada di Damocle per i residenti di via Archimede e per tutta l’area del quartiere Japigia. “Dobbiamo giocare sul tempo – spiega Licia Magliocchi, presidente del Comitato Archimede 16 – e prevenire altre malattie, anche attraverso diagnosi precoci. Se c’è qualcuno disposto a farsi avanti, che abita negli edifici vicini, siamo pronti ad ascoltarlo, per combattere tutti insieme. Bisogna tutelare la salute: è una priorità”.

“Vedevamo fuochi alti e sentivamo cattivo odore”
Nel 1982, anno in cui le chiavi degli appartamenti della palazzina di edilizia popolare sono state consegnate agli inquilini, la situazione in viale Archimede era completamente diversa da quella attuale. Non c’erano scuole e non c’era il palazzetto dello sport. Non c’erano servizi, né illuminazione. Nella discarica allora aperta, secondo testimoni, si vedevano spesso fiamme alte: “A volte – racconta Antonio Magliocchi – vedevamo il fuoco e sentivamo cattivi odori, ma non ci siamo mai resi conto del problema, almeno non inizialmente”. Solo due anni fa, gli inquilini hanno cominciato a scambiarsi informazioni. In vent’anni troppi casi di tumore. Troppi lutti al numero 16 di viale Archimede. E allora si sono fatti coraggio e hanno chiesto l’intervento della Regione Puglia.

“Ecco i responsabili, ma non si può procedere”
Da lì è partita l’inchiesta della procura che ha riconosciuto che “la responsabilità sulla vigilanza del sito è attribuibile in solido all’Amiu e al Comune di Bari, in persona dei loro rappresentanti pro tempore dal 1962 al 1988″, ma ha ritenuto che “le loro condotte sono assai risalenti nel tempo per essere perseguibili penalmente, anche oltre trent’anni or sono, e dovrebbero essere individuate nel periodo precedente all’attuazione del piano di recupero della discarica e della mancata predisposizione delle misure di salvaguardia atte ad evitare gli incendi per autocombustione”.

La scia di morti continua
Secondo la procura i responsabili ci sono ma non sono perseguibili, quindi. E non solo. La scia di tumori non si è mai fermata: lo scorso anno altre due donne sono morte nello stesso palazzo. Ecco perché secondo Laforgia anche se oggi non c’è più pericolo, perché la discarica è stata messa in sicurezza, malattie e morti si sono verificate sino a pochi mesi fa e occorre quindi accertare le responsabilità. “È necessaria – conclude – la collaborazione delle istituzioni, dal Comune alla Regione, perché questa è una storia che riguarda tutta la città”.

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