Dopo aver letto il post di Marcello Adriano Mazzola, dove paventa una supremazia delle donne in Italia e reclama pari opportunità, sì, ma per gli uomini, sono andata a rivedere alcuni dati sul gap economico e occupazionale tra uomini e donne nel nostro Paese. Sulla violenza contro le donne tocca ripetere che a parte le personalissime opinioni di Mazzola, ci sono numeri e dati che ne rivelano l’entità e l’asimmetria con la violenza che gli uomini possono subire dalle donne. Gli uomini, infatti, sono maggiormente vittime della violenza da parte di altri uomini e spesso a causa della stessa cultura machista che colpisce le donne. Non entrerò nemmeno nel merito dell’allarme Pas su cui ho scritto più volte e di cui l’avvocato, contraddicendo il magistrato Fabio Roia che si occupa di violenza in famiglia dal 1991, denuncia migliaia di casi ogni giorno senza indicare una ricerca di riferimento o i criteri con i quali sarebbero stati raccolti i dati ecc. Nessuna citazione tranne l’autoreferenzialità. Mi soffermerò, quindi, sul gap economico tra uomini e donne. L’avvocato Mazzola dovrebbe dormire sonni tranquilli. Molto meno tranquilli sono, invece, i sonni delle donne italiane. Andiamo a ripassare qualche dato.

L’Istat ha rilevato finalmente qualche anno fa anche la povertà delle donne separate di cui non si parlava mai. La fine di un matrimonio impoverisce entrambi i coniugi ma ad essere maggiormente a rischio di povertà sono le donne (24% contro il 15% degli uomini). Il 40% delle donne sposate sono disoccupate e il 60% che lavora, ha redditi più bassi di quelli dei mariti ed è per questo che rivelano i dati Caritas, la popolazione di separati o divorziati che si rivolge ai servizi del circuito ecclesiale è composta da un 53,5% di donne e un 46,5% di uomini (parlando di famiglie o ex famiglie con figli minori). In Italia da decenni sono state abbandonate politiche per cambiare le relazioni tra donne e uomini e il lavoro di cura è stato lasciato sulle spalle delle donne che svolgono lavoro domestico a scapito di carriera e lavoro. Esiste una mole di lavoro di cura che le donne svolgono senza alcun riconoscimento e anzi spesso sono state tacciate con violenza di parassitismo.

Sempre grazie ad una indagine Istat pubblicata del 2016 e che traccia un identikit del Paese si evince che le donne hanno effettuato 50 miliardi e 694 milioni delle ore di produzione familiare pari al 71% del totale. “Le casalinghe, con 20 miliardi e 349 milioni di ore – ci dice Istat – sono i soggetti che contribuiscono maggiormente al lavoro di cura. Il numero medio di ore di lavoro non retribuito svolte in un anno è pari a 2.539 per le casalinghe, 1.507 per le occupate e solo  826 per gli uomini (considerando sia quelli occupati, sia quelli non occupati)”. Tutte le indagini svolte negli ultimi dieci anni, ci dicono che le donne sono penalizzate nel mondo del lavoro e non solo da pregiudizi ma anche dalla maternità. I dati dell’Ispettorato del lavoro basati su una ricerca del 2016 rivelano che le dimissioni volontarie sono state 37.738 e che le donne lasciano il lavoro per assenza di servizi, impossibilità di conciliare lavoro e cura dei figli e assenza di rete parentale. Nel nostro Paese da anni si tagliano risorse per il welfare, tanto sono le donne ad assumerlo sulle loro spalle: curano figli, gli anziani, i famigliari ammalati o con handicap e pure mariti.

L’avvocato Mazzola dovrebbe sapere che uno dei principi del diritto è che non si possono trattare in maniera disuguale soggetti che sono su un piano di uguaglianza ma neppure trattare in maniera uguale soggetti tra cui esiste una disuguaglianza. Il carico di cura dei figli è sulle madri e quando nelle separazioni i giudici intervengono per aumentare la frequentazione tra padri e figli, suscitano spesso l’opposizione dei padri non delle madri, lo ha dichiarato in un comunicato contro il ddl PillonMagistratura democratica. E’ ovvio che in una società dove gli uomini dedicano la vita a lavoro e carriera (e lo possono fare grazie al lavoro di cura svolto dalle mogli) il tempo per occuparsi dei figli è minore. Un modo per cambiare le cose sarebbe una proposta di legge per introdurre in Italia, come è avvenuto in molti Paesi, la legge sui congedi dal lavoro per paternità e maternità, di pari durata e non cedibili. Nel 2012 invitai Mazzola ad occuparsene insieme alla sua associazione e alle associazioni dei padri separati. Mi rispose che era favorevole ma non mi risulta che se ne sia interessato sul suo blog o con la sua associazione.

Infine, uno sguardo su alcune delle meravigliose carriere delle donne.

Aumentano le magistrate ma solo una minima percentuale arriva ai vertici. Ne scriveva sulla Stampa, un anno fa circa, Linda Laura Sabbatini con l’articolo “La lunga marcia incompiuta delle donne in magistratura“: “I vertici sono rigidamente maschili. Nessuna donna è mai stata presidente della Corte di Cassazione, tra i membri del Csm solo tre sono donne e una sola espressione dei giudici togati. Tre magistrati su quattro, tra coloro che esercitano funzioni direttive, sono uomini e poco meno di due terzi di quelli che esercitano funzioni semidirettive”. Non splende il sole sui cammini delle donne nemmeno in altre professioni. Ieri Vincenzo Barone, rettore della Normale di Pisa, ha denunciato come sia impossibile promuovere delle donne all’Università perché  appena ad un concorso si presenta una donna arrivano lettere anonime con calunnie sessiste. Le solite accuse che investono la sfera della sessualità delle donne con particolari che non hanno nulla a che vedere con la loro competenza e professionalità come se la moralità delle donne dovesse influenzarne le carriere.

Ed è noto che cosa sia accaduto pochi giorni fa al Cern con la “lezione” di Alessandro Strumia. Dietro a quella che erroneamente l’avvocato Mazzola chiama “lotta tra i sessi” (sarebbe più corretto parlare di lotta ai diritti delle donne) denunciandone la sostituzione alla lotta di classe, esiste una questione mai affrontata. E si intreccia alla lotta di classe. L’enorme mole di lavoro di cura svolto dalle donne ha un valore economico che non viene in alcun modo riconosciuto. Lo si nega e disprezza ma si continua a pretendere che spetti alle donne svolgerlo e senza chiedere riconoscimenti (il ddl Pillon docet): in nome dell’amore e del dovere. Le radici della violenza maschile contro le donne si nutrono anche di disparità economiche.

@nadiesdaa

Articolo Precedente

Lo Stato disabile

next
Articolo Successivo

Pisa, la prima prof ordinaria di Scienze nella storia della Normale: “Anche contro di me offese sessiste”

next