Ci sono 1.918 ponti, viadotti e gallerie gestiti da 76 Province italiane che necessitano di interventi urgenti in quanto già soggetti a limitazione del traffico o della portata, se non chiusi. E servono “almeno 730 milioni” per rimetterli a nuovo, cioè l’intero ammontare degli investimenti a disposizione lo scorso anno degli enti intermedi cancellati, sulla carta, dalla legge Delrio ma che continuano a gestire anche 5.200 scuole di secondo grado con 2,5 milioni di studenti ospitati ogni giorno nelle aule. E come se non bastassero le quasi 2000 opere sulle quali è necessario intervenire nel breve periodo, ce ne sono altre 14.089 da sottoporre a indagini tecnico-diagnostiche: un monitoraggio per il quale sono necessari altri 566 milioni di euro.

I dati e le situazioni più complicate, regione per regione
I numeri allarmanti sono contenuti nella mappatura effettuata dall’Unione delle Province italiane in seguito all’input arrivato dal ministero delle Infrastrutture in seguito al crollo del Ponte Morandi di Genova. Il monitoraggio richiesto dai Provveditori regionali alle Opere pubbliche sulle 30mila opere infrastrutturali in gestione a 76 Province – sono escluse quelle autonome e le Città metropolitane – ha restituito una fotografia limpida della situazione che vede la Lombardia e il Piemonte in cima alle zone con il maggior numero di “priorità 1” negli interventi, rispettivamente con 334 e 328 ponti e gallerie che richiedono interventi urgenti. Situazione complicata, in termini assoluti, anche in Calabria (174 opere), Campania (171) e Puglia (153). Mentre va meglio nel Lazio (47) e in Veneto, dove sono solo 23. A questi dati, si legge nelle tabelle aggregate su base regionale, bisogna aggiungere altre 4.013 opere già sottoposte all’attenzione delle Province oltre alle “priorità 1”, con un quadro chiaro dei lavori necessari e anche il loro ammontare: poco più di 1,7 miliardi di euro. La lunga lista di interventi riguarda in particolare Lombardia e Puglia che raggruppano circa il 25 per cento di questi ponti, viadotti e gallerie. A seguire Toscana (632) ed Emilia-Romagna, che è la regione al primo posto nella tabella delle opere da sottoporre a monitoraggio con 2.095 infrastrutture in attesa di accertamenti.

Servono oltre 3 miliardi. Upi: “Pronti a collaborare con il governo”
Ammontare totale del costo tra “priorità 1”, altre opere già sottoposte e quelle in attesa di monitoraggio da parte dell’ente intermedio tra Regioni e Comuni? Tre miliardi e 20 milioni di euro. Soldi che le Province non hanno. “Il governo ha recentemente detto che bisogna partire con gli investimenti, con particolare attenzione alla manutenzione delle opere. Non il Tav né le altri Grandi opere ma quelle dei territori – spiega a Ilfattoquotidiano.it Achille Variati, presidente dell’Upi – Noi siamo pronti a collaborare e lo abbiamo dimostrato prendendo sul serio il monitoraggio voluto dal ministero delle Infrastrutture dopo la tragedia del viadotto Polcevera”. Che lancia la proposta: “Il veicolo legislativo nel quale stanziare i fondi, almeno per gli interventi di “priorità 1”, potrebbe essere lo stesso Decreto Genova quando approderà in Parlamento”. Anche perché, sottolinea Variati, una certa urgenza ce l’hanno anche le 14mila opere per le quali sono necessarie indagini tecnico-diagnostiche: “Su quei ponti, gallerie e viadotti le conoscenze sono scarse, servono perizie. Parliamo di infrastrutture che hanno mediamente 40-50 anni e, diciamolo chiaramente, possono nascondere insidie gravissime per i cittadini”.

Le richieste dell’Upi: “Aumentare fondo per manutenzione straordinaria”
Poi, l’attenzione si sposterà sulla legge di Bilancio. L’Upi si augura che nella manovra ci sia uno “stanziamento a regime di 280 milioni di euro per superare lo squilibrio di parte corrente”, consentendo così il ripristino della ordinaria capacità di programmazione finanziaria “annullata dalle manovre finanziarie degli ultimi anni”. Ma non solo: le Province chiedono anche “l’incremento di 1,5 miliardi del fondo di investimenti per opere di straordinaria manutenzione viaria”. Attualmente, tramite la legge di Bilancio 2015, sono stati stanziati 300 milioni annui per il periodo 2019-23: “Considerato il patrimonio viario di 130mila chilometri cui si riferisce, si tratta di una media di appena 2mila euro a chilometro l’anno“. Una cifra “del tutto insufficiente” e “assolutamente non paragonabile”, denuncia l’Upi, agli “oltre 22mila euro a chilometro di cui dispone l’Anas per la rete stradale o ai 120mila euro al chilometro per la rete autostradale“.

Variati: “Rivedere la legge Delrio e semplificare”
Un cul-de-sac dal quale “se ne viene fuori con ragionevolezza“, dice Variati. “Nell’attesa di prendere una decisione definitiva sulla la legge Delrio, perché questo mi pare necessario, il governo deve assicurare diritti fondamentali per i cittadini, c’è di mezzo la sicurezza“, spiega l’ex sindaco di Vicenza. “Vorrei ricordare che non noi, ma la Corte dei Conti definì i tagli previsti dalla riforma delle Province “irragionevoli” – ricorda il presidente dell’Upi – Allora si proceda applicando un duplice criterio: rivedere la suddivisione seguendo un criterio geografico ragionevole e allo stesso tempo semplificare, disboscando le decine di autorità d’ambito. Intanto, a noi servono soldi perché le strade e oltre 5mila scuole che ospitano 2,5 milioni di studenti restano sotto la nostra gestione. E la nostra responsabilità”.

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