Cinema

Michelangelo – Infinito, strano, piacevole, ammaliante turbinio sensoriale sul grande artista

Ammettiamo di non aver mai osservato la Pietà, oggi nella Basilica di san Pietro a Città del Vaticano, così da vicino, così dettagliatamente, con una capacità di accarezzare e di sfiorare il marmo carrarese originale

di Davide Turrini

Siamo partiti prevenuti e ci spiace. Sarà la solita pesante e didascalica lezioncina sul grande artista del passato. Attori col costumino, qualche frase epocale, la solennità di un sapere critico che sgocciola da soffitti e pareti della storia dell’arte. Invece, quando ti ritrovi tra sequenze e fotogrammi di Michelangelo – Infinito (produzione Sky e distribuzione nelle sale solo dal 27 settembre al 3 ottobre con Lucky Red) ti accorgi di essere al centro di uno strano, piacevole, ammaliante turbinio sensoriale tra ricostruzione storica a tappe creative e dettaglio letteralmente epidermico di statue e dipinti.

Già, la cifra più evidente, lampante, esondante da questo curioso lavoro che, come scrivono nel comunicato stampa Sky più che “documentari cinematografici” sono “film ‘documentati’ (o film di ‘autorevole finzione’), è proprio la prossimità dello sguardo della cinecamera con le opere di Michelangelo. Ammettiamo di non aver mai osservato la Pietà, oggi nella Basilica di san Pietro a Città del Vaticano, così da vicino, così dettagliatamente, con una capacità di accarezzare e di sfiorare il marmo carrarese originale. Fa davvero impressione questa pedagogia dello e nello sguardo. Perché così sculture e dipinti sono sia spiegati (c’è una voce terza fuori campo alla Quark ma non guasta) in tutto il loro rivoluzionario risultato e allo stesso tempo vengono come offerti ad un ipotetico tocco dello spettatore. Un po’ come per i vortici di colore dei quadri di Van Gogh o per gli sgocciolamenti di Pollock che si vorrebbe poter palpare con le mani in tutta la loro matericità oltre il diaframma dello schermo. Michelangelo – Infinito crea questo circuito ipnotico sensoriale. Poi certo, attraverso le altre due dimensioni della narrazione (Michelangelo stesso, interpretato da Enrico Lo Verso immerso tra i blocchi di marmo, e del suo biografo, l’artista Giorgio Vasari – Ivano Marescotti– attorniato da una tribunetta senatoriale in computer grafica) emergono inquietudine e irrequietezza dell’artista.

L’apprendistato in bottega, lo studio anatomico sulle salme, il rapporto turbolento con la famiglia dei Medici a Firenze, e l’apoteosi unica e mai vista del rapporto artista/pontefice con le chiamate a Roma dei papi Giulio II e Paolo III, Ma il centro del discorso rimane la vicinanza tattile dell’occhio alle opere. La volta della Cappella Sistina, il Giudizio Universale, ma soprattutto quel David, morbido, statuario, imponente nei suoi cinque metri che sconvolgono l’arte mondiale e riempiono di significato definitivo il Rinascimento. Abbondante uso di videocamere High-dynamic-range imaging (HDRI) per introdurre maggiore luminosità possibile e una supersintesi di visual effects legati ad effetti grafici riprodotti su file pesantissimi in scala 1 a 1 di molte immagini di dipinti e sculture.

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