“La sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà”. Queste le parole più clamorose pronunciate dal papa pochi giorni fa dinanzi a un gruppo di giovani di Grenoble. Esse sono sembrate testimoniare una qualche novità nell’atteggiamento della Chiesa Cattolica verso il sesso e l’amore carnale. È proprio così? La risposta a questo interrogativo viene dalla lettura della parte restante del discorso del pontefice.

Secondo Francesco, il sesso “ha due scopi: amarsi e generare vita. Il vero amore è appassionato. L’amore fra un uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. E a darla con il corpo e l’anima”. Il pontefice ha poi fatto riferimento all’indissolubilità del legame tra un uomo e una donna consacrato dal matrimonio, aggiungendo che “le nostre debolezze, le nostre cadute spirituali, ci portano a usare la sessualità al di fuori di questa strada tanto bella, dell’amore tra l’uomo e la donna. Ma sono cadute, come tutti i peccati. La bugia, l’ira, la gola… Sono peccati: peccati capitali. Ma questa non è la sessualità dell’amore: è la sessualità ‘cosificata’, staccata dall’amore e usata per divertimento. È interessante come la sessualità sia il punto più bello della creazione, nel senso che l’uomo e la donna sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio, e la sessualità è la più attaccata dalla mondanità, dallo spirito del male”.

Dunque, se esaminate nel contesto di tutto il suo discorso, le parole del papa sui piaceri del sesso risultano molto meno clamorose di quanto erano sembrate a un primo sguardo. In primo luogo, le gioie della carne sono per lui funzionali all’amore coniugale, a rendere più solido il vincolo imperituro tra un uomo e una donna e di qui anche e soprattutto a consentire la procreazione.

La natura eterosessuale delle unioni è poi, per Francesco, un punto imprescindibile. Due persone dello stesso sesso che si amano e si rispettano sono comunque, per il papa, lontani “dalla strada tanto bella dell’amore tra un uomo e una donna”, sono peccatori al pari dei bugiardi, degli irosi, degli ingordi, eccetera.

Il punto è che la chiesa cattolica non può ammettere la libertà sessuale, non può riconoscere il carattere ludico, espressivo, creativo, fantasioso dell’attività sessuale in sé e per sé perché farlo significherebbe riconoscere agli esseri umani una libertà di coscienza e di pensiero che li allontanerebbe, questo si teme, dai precetti dell’istituzione e dal controllo dei suoi funzionari. È al fondo una questione di potere. Reprimere la sessualità, immergerla nella colpa della “mondanità e dello spirito del male”, incanalarla esclusivamente nell’alveo placido e ordinato dell’amore coniugale, consente di limitare i pericoli che vengono dalla scoperta inebriante della libertà e della responsabilità individuale, autorizza la speranza che il popolo rimanga eternamente pauroso e infantile.

Mi fa sorridere e al tempo stesso tremare pensare alla reazione dei giovani che lo ascoltavano. Sono sicuro che, se per moltissimi quelle parole sono risuonate vuote e inutili, per alcuni sono invece risultate terrorizzanti e spaventose. Sarà stato certo così per tutti i gay e le lesbiche cattolici che non accettano il proprio orientamento sessuale, che combattono con tutti i mezzi quel loro dannato desiderio di fare l’amore con persone dello stesso sesso. Chissà che un giorno o l’altro anche loro, con la speranza di poter “guarire” dall’omosessualità, non immaginino di percorrere la via dell’amore coniugale con una persona dell’altro sesso. Di quel che succederà dopo dovranno ringraziare anche il papa.

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