Un sistema di allerta dei cittadini centralizzato e automatico, che supera la discrezionalità dei sindaci e manda comunicazioni alle persone in base alla loro posizione geografica. A un anno dall’alluvione di Livorno a causa del quale persero la vita nove persone, la Protezione civile nazionale pensa a un cambio di rotta nel modello di allertamento delle popolazioni. Ad annunciarlo a ilfattoquotidiano.it è il capo dipartimento Angelo Borrelli: “Spero diventi realtà il prima possibile, entro un anno o due. Ho preso questa decisione a seguito dei fatti di Livorno e dopo un confronto con ricercatori, Regioni e Comuni. L’obiettivo è superare il problema di chi schiaccia il bottone e della presenza fisica del responsabile”, spiega. Un peso, certo, non possono non averlo avuto anche le vicende giudiziarie di questi mesi, con la conferma in appello della condanna a cinque anni di Marta Vincenzi, ex sindaco di Genova, per i sei morti nell’alluvione del 2011, e l’iscrizione nel registro degli indagati della Procura livornese del sindaco Filippo Nogarin e del capo della protezione civile Riccardo Pucciarelli. Un sistema di allerta che appare ancora più necessario a Livorno, dove mentre prosegue la messa in sicurezza del territorio, restano rischi significativi e difficili da eliminare: “Accanto ai tre o quattro corsi d’acqua su cui si è intervenuti, ce ne sono altre decine più piccoli che sono a rischio, per non parlare della rete fognaria”, dice a ilfatto.it Stefano Pagliara, docente di Protezione idraulica del territorio all’università di Pisa e conoscitore del territorio livornese. Livorno rimane così una città per molti aspetti vulnerabile, l’emblema di un’Italia in cui per decenni non si è investito in manutenzione e sicurezza e adesso si prova a rimediare con sforzi immani ma tragicamente insufficienti.

A Livorno 243 interventi completati, ma mancano 30 milioni
Nella città toscana in questi mesi gli interventi più urgenti si sono conclusi o sono in corso: su lavori per un totale di 52,5 milioni stanziati (di cui 37 provenienti dalle casse regionali e il resto dallo Stato), quelli già conclusi valgono 17 milioni (243) e quelli in corso di realizzazione un’altra ventina. Si tratta soprattutto di opere per la gestione dell’emergenza e il ripristino o l’adeguamento di strade, ponti e corsi d’acqua. Agli occhi dei cittadini, però, la paura prende la forma del così detto “rischio residuo”, cioè il pericolo che rimane quando tutto il fattibile è stato fatto. Per ridurre questo tipo di pericoli, la Regione Toscana (che gestisce i lavori di ricostruzione con il governatore Enrico Rossi commissario) insieme al Comune ha chiesto al governo Conte altri 30 milioni. Altri 16,5 sono già stati stanziati e permetteranno di intervenire sui fiumi esondati l’anno scorso, con il grosso dei lavori che dovrebbe andare a gara a breve. “Prima di tutto si è provveduto a redigere un piano generale, dimensionato idraulicamente, di tutti gli interventi necessari per ridurre il rischio idraulico provocato da rio Maggiore, rio Ardenza e rio Ugione che insieme agli altri corsi d’acqua minori sono stati la causa dell’evento di un anno fa”, spiegano dagli uffici regionali a ilfatto.it. Sul Maggiore sarà demolito e ricostruito il ponte di Salviano e sarà eliminato il tombamento del corso d’acqua nel tratto più critico, quello vicino allo stadio, lungo il quale morirono 4 delle 8 vittime, appartenenti alla famiglia Ramacciotti. Sull’Ardenza, invece, l’attraversamento ferroviario verrà adeguato e verrà deviata la foce di uno degli affluenti (il Forcone). Per altri lavori si dovrà capire se il governo è intenzionato a sborsare gli altri 30 milioni, in un periodo in cui l’Italia è alle prese con numerose emergenze infrastrutturali.

Pagliara: “Ora più sicurezza, ma fogne e corsi minori ancora a rischio”
Interventi utili ed efficaci per i tre fiumi principali, ma che secondo il professore dell’università di Pisa Stefano Pagliara non bastano a far stare tranquilli. “Un evento meteo come quello dell’anno scorso si verifica ogni 500-mille anni, ovunque avrebbe causato gravissimi danni. Dopo l’alluvione c’è stato un importante lavoro di progettazione e per i fiumi che hanno esondato oggi il livello di sicurezza è notevolmente migliorato. Difficilmente sentiremo parlare di nuove alluvioni causate da questi corsi d’acqua”, spiega l’esperto.

Il problema, però, è che “accanto ai tre o quattro corsi d’acqua su cui si è intervenuti, ce ne sono altre decine più piccoli che rimangono a rischio, perché dimensionati per eventi con un tempo di ritorno medio di 15-20 anni, al massimo 30”. Niente in confronto all’immensa portata del nubifragio del settembre 2017, che statisticamente avviene almeno ogni 500 anni. In media, ovviamente, e se si considera che secondo diversi studi i cambiamenti climatici porteranno a eventi meteo estremi più frequenti rispetto al passato, le prospettive non sono rosee. Ancora meno confortante è il fatto che, aggiunge Pagliara, “difficilmente una perturbazione colpisce due volte la stessa porzione di una città”.

Preoccupante, però, è anche la situazione del reticolo fognario: “La rete delle acque reflue è dimensionata in tutta Italia per piene che possono avvenire ogni 2-5 anni. E una fognatura fuori controllo basta a causare danni e morti se ci si trova in scantinati e garage”. Nonostante una situazione così complessa e che è comune a gran parte dell’Italia, per l’esperto “non è pensabile oggi ricostruire interamente le fognature, né adeguare tutto il reticolo di corsi d’acqua: il problema riguarda tutto il Paese che per decenni ha trascurato il tema della manutenzione del territorio, oggi servirebbero miliardi di euro che non ci sono. La speranza è che si esca dall’approccio dell’emergenza: quando si presenta il conto è già troppo tardi per intervenire”.

Borrelli: “Un sistema unico come in Usa: gestione unitaria e risparmi economici”
Se il quadro rimane complesso, i cittadini livornesi dovrebbero poter contare in futuro su un sistema di allerta più efficace di quello messo in moto nelle ore prima dell’alluvione. Nella notte tra il 9 e il 10 settembre, infatti, l’allarme era stato dato tramite comunicati stampa, messaggi su due pannelli luminosi a nord e nel centro della città e attraverso un’app che aveva ricevuto 500 download: niente rispetto agli oltre 150mila abitanti. Oggi all’opposto la gente in città parla di un sistema di allerta quasi isterico, che si attiva al minimo accenno di perturbazione. “Oggi ogni sindaco mette in piedi il proprio sistema di allerta in autonomia – spiega il capo della Protezione Civile Borrelli – ma non c’è una gestione unitaria, mentre dobbiamo creare un’unica piattaforma centralizzata di allertamento, come ne esistono in vari Paesi del mondo, dagli Stati Uniti al Cile. La nuova piattaforma garantirebbe risparmi economici e uniformità del servizio, permettendo di adattare le comunicazioni in base alla posizione geografica di ogni cittadino, che oggi invece riceve i messaggi relativi solo al Comune in cui si è iscritto al sistema di allerta anche se in quel momento si trova da tutt’altra parte”.

Il sistema, aggiunge Borrelli, sarebbe “completamente automatizzato, per evitare che ci sia qualcuno che schiaccia il bottone e svincolare il servizio dalla presenza della singola persona”. Parole che fanno pensare alla drammatica notte dell’alluvione livornese, in cui il sistema di allerta dei cittadini era stato quasi inesistente. A Pisa, città che lo stesso Borrelli considera all’avanguardia che si trova a meno di 30 chilometri da Livorno, il 9 settembre di un anno fa fu fatta una comunicazione adeguata per il livello di allerta previsto”, dicono dalla Regione Toscana.

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