Il fatto che Giorgia Meloni si sia dichiarata favorevole allo spot Chicco sarebbe già un ottimo motivo per esserne spontaneamente avversi, di fatto però la pubblicità non ha bisogno di supporter esterni per essere sgradevole. Patria e famiglia come nella migliore tradizione fascista. Lo spot della Chicco, che ha comunque ottenuto lo scopo del purché se ne parli, è irritante per diversi motivi.

Il primo è sempre il solito, più duro a morire di un personaggio di Beautiful, più ostico di una macchia di vino rosso, ovvero innalzare la maternità ad atto dovuto, a un alone mistico giacché patriottico. Perché il fare figli significa garantire all’Italia, alla madre patria, il suo stesso futuro. E se proprio non lo si vuole fare per amore, lo si faccia “per il piacere di farlo”. Slogan cinico verso quelli che davvero lo farebbero e non ci riescono (secondo le stime il 20% delle coppie in età fertile), superficiale visto che quando “la voglia sparisce il figlio rimane”. Non c’è niente di spensierato in un figlio non voluto, non desiderato, conseguenza di un momento di illogica passione.

La Chicco fa leva sul banale precetto della realizzazione individuale attraverso un figlio, ancor più pesante in quanto gioca sulla pelle delle donne, perché se è vero che nello spot sono in due a concepirlo è altresì comprovato che l’impegno della madre – non solo banalmente nel portare a termine la gravidanza e l’eventuale allattamento – è in media ancora superiore al padre nell’Italia di oggi.

Come donna e madre di tre figli non posso che rigettare l’idea che una donna debba sentirsi legittimata, o anche solo rispettata maggiormente, nel momento in cui genera vita. Non posso accettarlo tanto quanto, se fossi un uomo, mi si premiasse esclusivamente per la mia vigoria fisica. Dimora nell’essere umano ben di più che la mera capacità, dono esclusivo della natura, di adempiere a certe funzioni fisiche.

Se non fosse per il fatto che le donne sono più glorificate, ancora oggigiorno, per il loro aspetto fisico che non per il loro intelletto, spirito imprenditoriale, astuzia politica o capacità artistiche, lo spot della Chicco non sarebbe così disturbante. Se le porte del mondo fossero aperte in ugual misura al genere femminile, fare un figlio non sarebbe il risultato di un’indicibile pressione sociale e culturale, ma una scelta individuale e serena.

La retorica usata nello spot è in odore di fascismo anche per altri aspetti. Gli immigrati trainano le nascite, al 2015 tra gli stranieri la natalità era maggiore della mortalità, mentre per gli italiani è l’esatto contrario. Nonostante nella pubblicità ci sia qualche bambino nero “politicamente corretto e utile”, le coppie che copulano sono tutte bianche.

Quindi l’inno al baby boom è rivolto a uno specifico tipo di italiano, un tentativo di incalzare una compensazione, quasi che i figli degli immigrati (anche se alzano la media) siano un po’ meno italiani. Il Mondiale di Russia è finito e contro ogni mio auspicio ha vinto la Francia. Appuntamento dunque fra nove mesi nelle nursery degli ospedali d’oltralpe.

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