Una trentina di nuovi restauratori hanno vinto un concorso ma ancora non arrivano. L’organico è grande il 60 per cento di quello che dovrebbe essere. Interi settori come quello dei tessuti o degli arazzi, sono completamente fermi. L’Opificio delle Pietre Dure di Firenze è il posto in cui le opere d’arte riprendono vita. Per tutti (addetti ai lavori e non) si tratta di un’eccellenza che non ha pari al mondo, per competenze acquisite e per risultati ottenuti. Qui ci si è presi cura di migliaia di opere d’arte, buona parte dei quali veri e propri picchi d’eccellenza dell’arte occidentale come l’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci, la Madonna del cardellino e il Leone X di Raffaello, il Compianto sul Cristo morto di Sandro Botticelli, la Porta del Paradiso di Ghiberti, i principali Crocifissi lignei dipinti di Giotto, il Crocifisso di Donatello della Basilica di Santa Croce, il Tabernacolo dei Linaioli di Beato Angelico, tanto per citare alcuni dei più recenti restauri. Eppure l’Opificio continua a combattere per la propria esistenza.

L’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, nella versione moderna, ha la stessa età del ministero per i Beni culturali. Nacquero entrambi nel 1975, il primo grazie allo storico dell’arte Umberto Baldini che unì l’antico Opificio di fondazione medicea (1588) e i laboratori restauro della Soprintendenza; il secondo grazie a un giornalista, Giovanni Spadolini, che ebbe l’intuizione di staccare le questioni della tutela del patrimonio culturale dalle competenze del ministero della Pubblica Istruzione. Ma mentre il ministero, nel tempo, ha accresciuto il suo peso nell’esecutivo e il suo raggio d’azione, in quasi 45 anni di storia si è comportato più come una cattiva matrigna che di una madre attenta e premurosa. Come quando nel settembre del 2006 l’allora segretario generale del ministero, Giuseppe Proietti, tentò di accorpare all’Istituto Centrale del Restauro di Roma tutti gli altri istituti di restauro italiani afferenti al ministero, compreso l’Opificio delle Pietre Dure, che nel progetto poi naufragato grazie a una sorta di “sollevazione” politica e amministrativa della Toscana, doveva diventare niente più di una succursale di quello romano. Perché quella sorta di concorrenza tra Roma e Firenze in fatto di restauri nasce proprio nel momento in cui l’istituto fiorentino assume il profilo moderno e purtroppo si ripresenta con preoccupante puntualità.

Ma questo non è l’unico, né il peggiore dei problemi. “Grazie al recente concorso e alla graduatoria dei restauratori che finalmente sarà stilata a livello nazionale – dice Marco Ciatti, direttore dell’Opificio delle Pietre Dure – il ministero mi ha promesso 29 nuovi restauratori. Il concorso è stato fatto, adesso servono le nomine perché ne abbiamo un urgente bisogno”. La necessità cui fa riferimento Ciatti è soprattutto quella di tornare a “coprire” dei settori di restauro rimasti scoperti, in qualche caso ormai da troppo tempo: “Abbiamo carenze in tutti settori – aggiunge –, ma alcuni sono completamente fermi, come quello dei tessuti, degli arazzi, delle terrecotte; senza contare quello del commesso fiorentino (tecnica decorativa che riprendeva l’antica arte decorativa dell’opus sectile, nda) che è ormai immobile da anni”.

Ma a conti fatti, quali sono i numeri salienti? “È presto detto – dice Ciatti -: l’organico ideale delle tre sedi dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che è un Istituto centrale dipendente dalla Direzione generale educazione e ricerca del Mibact, sarebbe di 138 unità. Quello reale, in questo momento, è di 87 persone. Quindi, anche quando mi arriveranno le nuove 29 unità, avrò comunque una carenza d’organico di 22 persone, cioè il 16 percento del totale”.

In concomitanza con il 40esimo anniversario della nascita dell’Opificio moderno – nel 2015 – fu organizzato un convegno-appello per la sopravvivenza dell’istituto. Molte forze politiche si schierarono a fianco dell’Opificio che ottenne più attenzione da parte del ministero e dei privati, e anche più soldi. Addirittura l’Università di Firenze propose un accordo di collaborazione per l’apertura di corsi di laurea e, per la prima volta in Italia, dottorati di ricerca in conservazione e restauro.

Perfino l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, l’istituto che più di ogni altro in città sostiene progetti culturali ad ampio raggio, nel 2017 ha pagato 7 persone (per un anno) che hanno lavorato per l’Opificio e intanto studiava il varo di una fondazione ad hoc che gestisse un sostegno economico più duraturo all’Opificio. Anche se i vertici dell’Ente Cassa preferiscono non rispondere, pare che quest’ultima operazione, arrivata a un passo dalla realizzazione, sia destinata a non concretizzarsi per problemi proprio di natura giuridica, per cui tra il 2018 e il 2019 l’Opificio potrà nuovamente contare sul sostegno dell’Ente, ma solo per ottenere ancora sette persone da impiegare in varie mansioni. Niente di più.

Come si capisce, il grande assente a fianco dell’Opificio è proprio la “madre-matrigna” da cui dipende – cioè il ministero – il cui bilancio tra l’altro in pochi anni è passato da 1,3 miliardi di euro a oltre 2; ma nonostante ciò l’Opificio continua ad annaspare per problemi di natura certo non emergenziale, bensì cronici. Come se l’Opificio in tutti questi anni non avesse rappresentato un’eccellenza della conservazione e restauro in ogni campo dei beni culturali, non fosse stato in prima linea durante le tante emergenze seguite alle calamità naturali, nei siti archeologici delle zone di guerra o in numerosissime consulenze a livello planetario…

E nel futuro potrebbe andare anche peggio: grazie alle leggi sul lavoro dei precedenti governi, dal 2019 l’Opificio si troverà in grande difficoltà per dare in appalto a dei professionisti quegli interventi che non riesce a eseguire: “Le ho provate tutte – chiosa Ciatti -, ma senza ottenere soluzioni definite: in pratica alla pars destruens finora non ha corrisposto una necessaria pars costruens. Allora mi sono rivolto a un avvocato, che alla fine ha candidamente ammesso che qualsiasi strada venga intrapresa, secondo lui non è scevra da possibili impugnazioni. Per cui aspetto istruzioni. Soprattutto per continuare a lavorare”.

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