A chiedere il blocco navale come “soluzione” dell’emergenza migranti era stata la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Ma ora è arrivata la risposta – negativa – direttamente dalla ministra della Difesa Elisabetta Trenta. “Bisogna essere sempre attenti con le parole e chiamare le cose con il loro nome: non è un blocco navale, come è stato chiamato, perché sarebbe un atto di guerra“, ha dichiarato Trenta nel corso di un’intervista con Maria Latella su Skytg24.

La chiusura dei porti italiani voluta da Matteo Salvini (prima con il caso Aquarius, poi con la nave Lifeline che si trova ancora in mezzo al mare con 224 migranti a bordo), quindi, non può essere considerata un blocco navale. Immediata la contro-replica di Meloni: “Trenta sbaglia, parla come Renzi e Gentiloni, quando invece serve il coraggio di cambiare strada. Il blocco navale si può fare ed è l’unica soluzione seria per fermare l’invasione. Non sarebbe un atto di guerra se fatto in accordo con i governi libici. In ogni caso, dubito che una delle fazioni libiche dichiarerebbe guerra alla Ue e alla Nato“.

Nel corso dell’intervista a Skytg24, la ministra ha poi sollevato il dubbio che le Ong che “tendono a portare i migranti verso l’Italia siano parte di un progetto“. Esclusa, per ora, l’ipotesi che siano colpevoli di traffico di esseri umani. “Questo non possiamo affermarlo finché non c’è un processo“, ha specificato. “Il nostro Governo ha cominciato a risolvere il problema del traffico clandestino di uomini – continua Trenta – e si è voluto prendere una posizione forte ma che non vuole mai negare i diritti dei migranti. Le navi della Marina e della Guardia costiera, quando ci sarà bisogno, salveranno sempre un migrante in difficoltà” come afferma “il diritto internazionale”. È di poche ore fa, però, la notizia che la stessa Guardia costiera italiana ha comunicato a tutti “i comandanti di nave che si trovano in mare nella zona antistante la Libia” che d’ora in poi “dovranno rivolgersi al Centro di Tripoli e alla Guardia costiera libica per richiedere soccorso.

Una chiusura, questa, ribadita anche dalla stessa ministra. “Bisogna vedere bene di quale tratta di mare parliamo”, quando si verificano i soccorsi. “Perché se noi parliamo della tratta di mare che è vicina alla Libia, che è stata delimitata e che noi chiamiamo area Sar, l’area di search and rescue, in quell’area è competente la Guardia Costiera libica, che tra l’altro è stata formata dalla nostra Guardia Costiera per svolgere questo compito e ha tutte le capacità in questo momento anche i mezzi per poterlo fare”. È per questo che, spiega Trenta, “noi come Governo siamo disponibili e stiamo individuando anche la possibilità di donare altri mezzi, altro equipaggiamento per potenziare le loro attività, perché quello che è importante è che i libici siano in grado di controllare il proprio territorio”. Proprio nel Paese nordafricano è atteso a breve il ministro dell’Interno Matteo Salvini, mentre Trenta andrà in un secondo momento. “Andrà anche Di Maio quando si parlerà di imprese”, ha aggiunto la ministra.

Un altro problema da risolvere, secondo la titolare del dicastero della Difesa, è quello del riconoscimento di chi fugge da zone di guerra rispetto ai cosiddetti “migranti economici”. “Ci sono sempre stati”, ha spiegato Trenta, e l’Italia “stabilirà le quote di ingresso come ha sempre fatto, le migrazioni non si possono stoppare. Il problema è che i migranti economici arrivano insieme a chi fugge da una guerra e ci mettiamo tre anni a separarli, questo processo deve essere velocizzato“.

Nel corso dell’intervista c’è stato anche spazio per parlare delle missioni dell’esercito italiano all’estero. Prima fra tutte quella in Niger, annunciata da Gentiloni a dicembre scorso, votata in fretta e furia dal Parlamento a gennaio 2018 e poi rifiutata dallo stesso governo nigerino. “Noi in questo momento, stiamo attendendo che il Governo nigerino confermi la richiesta degli italiani”, ha spiegato la ministra in quota 5 stelle. Confermate, invece, le missioni in Libano (“sta portando grandi benefici”) e in Afghanistan.

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