Un uomo scatta un odioso selfie immortalandosi davanti ad una donna investita da un treno e gravemente ferita. Moltissimi uomini e donne immortalano scene altrettanto violente o macabre stando dietro al loro cellulare: sono quegli stessi filmanti che i giornali on line pubblicano e che tanti contatti generano. L’uomo del treno viene a sua volta ritratto da un giornalista che sta dietro al suo smartphone, il tutto presumibilmente catturato dal sistema di telecamere di sorveglianza della stazione.

I livelli di imbecillità umana vanno commisurati alle circostante e all’etica di ciascuno ma con uno smartphone tra le mani tutti siamo dei potenziali stronzi, nessuno escluso. D’altro canto le scuole italiane, luoghi di formazione di comportamenti futuri e crescita individuale e sociale, sono invase da telefonini onnipotenti tra le mani di studenti spesso a loro volta onnipotenti, viziati, narcisisti e refrattari a qualsiasi forma di contenimento e perlopiù spesso con genitori maneschi (con gli insegnanti).

Qui da noi non s’è capito abbastanza che razza di problema sia, i francesi hanno invece proibito per legge di portare il cellulare a scuola tagliando corto con noiose dispute pedagogiche capaci di rincoglionire più degli stessi eccessi da virtuale. Più in generale, guardiamoci intorno un attimo e osserviamo l’homo sapiens con lo smartphone in mano e riflettiamo bene su come si è ridotto, è un esemplare che probabilmente ci assomiglia molto. Georg Simmel – e su vari livelli la Scuola di Francoforte – ci hanno dato diversi spunti in tal senso.

Per esempio Simmel, nel suo splendido La metropoli e la vita dello spirito (del 1903!) teorizza l’atteggiamento blasé ovvero fenomeno psichico come conseguenza di una rapida e continua sovra-esposizione di stimoli nervosi e contradditori da cui deriva l’intellettualismo metropolitano. Non si confonda qui intellettualismo con elaborato d’intelligenza: si tratta piuttosto di innaturale presa di distanza dai fatti del mondo con ipertrofico rafforzamento della razionalità più ottusa, ciò a cui viene contestato al giovane di Piacenza.

Ebbene sì, quel selfie così odioso non è deliberata cattiveria ma il risultato di un’oggettivazione e di una presa di distanza da un’emozione. La nostra personale capacità empatica è annegata nel mondo emotivo e compulsivo di un protagonismo subalterno ai prodotti culturali industriali. Per averne un’idea prendete un treno, un autobus e osservate i vostri simili. Oppure osservate la desolazione culturale delle periferie sempre più estese e illuminate dai luccichii dello schermo degli smartphone. O guardate una qualsiasi homepage dei giornali on-line: a getto continuo 24h, senza soluzioni di continuità e dribblando le pubblicità invadenti scorgerete migranti e vegani, grandi della terra e le wags più famose, Harry e Meghan e l’Ilva di Taranto, il vestito usato della duchessa di Cambridge e il precariato, la tragedie del calcio milionario e della disoccupazione, l’atto più disumano e Papa Francesco con un bimbo in braccio.

E poi troverete un saccente editoriale di qualche tuttologo su un selfie davanti ad una donna travolta dal treno e solo più sotto un video amatoriale di un giovane cinese sbranato da un orso ferito e con migliaia di like. Il tutto in salsa blasè, civilissima, colta e moralistica salsa che per malafede o ottusità è quasi sempre incapace di interrogarsi sull’egemonia economico-monetaria da cui tutto scaturisce.

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