Mariano Rajoy sempre più vicino alla sfiducia. La mozione presentata dai socialisti di Pedro Sanchez, al voto in Aula il primo giugno, ha conquistato anche il sostegno del Pnv, il partito degli indipendentisti baschi. Cinque voti che saranno decisivi per la caduta del premier e per la successiva nomina a primo ministro dello stesso Sanchez (come stabilisce la legge spagnola). Ma c’è un’altra ipotesi in campo: se Rajoy dovesse dimettersi prima della sfiducia, rimarrebbe in carica per gli affari correnti per poi portare il Paese a nuove elezioni. Per la terza volta nel giro di due anni e mezzo.

Molti commentatori l’hanno definita “la giornata più lunga” del leader del Pp, travolto nelle scorse settimane dalla “tangentopoli” di Spagna, l’eclatante caso giudiziario che è costato 351 anni di carcere a 29 uomini del suo partito. Rajoy è rimasto in Aula per tutta la mattinata ad ascoltare le dichiarazioni di voto dei partiti di opposizione (e dei suoi ex alleati). “Si dimetta signor Rajoy, la sua permanenza alla guida del governo è dannosa per il nostro paese e un peso per il suo partito”, ha dichiarato il leader socialista Sanchez. “Ci sono stati corrotti nel Partito popolare, è vero, ma il Pp non è un partito corrotto“, si è difeso il premier. Ma i suoi sforzi per tenere in piedi il governo (che comunque non ha la maggioranza al Parlamento di Madrid) sono stati vani: salvo colpi di scena, la mozione di sfiducia potrà contare sui 176 voti necessari per il via libera.

Oltre ai socialisti del Psoe, a mettere la pietra tombale sul governo Rajoy saranno i 5 indipendentisti baschi, 1 17 separatisti catalani, altre formazioni minori e tutto il blocco a sostegno di Podemos, la formazione di sinistra guidata da Pablo Iglesias. Ma è fondamentale anche il ruolo di Ciudadanos, alleato del Pp alla Moncloa, che dopo la sentenza del “caso Gurtel” aveva dichiarato “finita” l’esperienza di governo. I parlamentari guidati da Albert Rivera, infatti, nonostante il voto contrario alla sfiducia dei socialisti si sono detti pronti a presentare un’altra “sfiducia strumentale” per individuare un “premier terzo” in grado di portare il Paese alle urne. Obiettivo: capitalizzare i consensi acquistati negli ultimi mesi (i sondaggi danno Ciudadanos come primo partito) e porsi alla guida della Spagna.

Nel progetto di Rivera c’è però un ostacolo. E si chiama Pedro Sanchez. Se la sfiducia dovesse passare, infatti, il leader dei socialisti sarebbe nominato primo ministro già lunedì. Secondo il sistema spagnolo, infatti, queste mozioni devono essere “costruttive“, devono cioè puntare non solo ad abbattere il capo del governo ma anche a nominare subito il suo sostituto. L’unica carta in mano all’attuale premier Rajoy (su cui spinge anche Rivera), ormai destinato alla sconfitta politica, è quella di annunciare le dimissioni. In questo modo la palla passerebbe al Re, chiamato ad aprire le consultazioni per trovare un nuovo premier. O per andare a elezioni anticipate. Ma Rajoy non sembra intenzionato a farlo.

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