A quanto mi è dato di sapere, nell’attuale ricostruzione della lunga vita di relazione del professor Paolo Savona – ad oggi ancora in corsa per una poltrona ministeriale in quota Matteo Salvini – resta tuttora aperto un piccolo buco nero, che va dal 1976 al 1980. Infatti, questo quadriennio corrisponde al periodo in cui il noto personaggio ricoprì la carica di direttore generale della Confindustria; alla corte di Guido Carli, che se lo era portato dietro, provenendo da Bankitalia, quando venne chiamato a fungere da commissario, seppure con “greche presidenziali”, dell’organizzazione di rappresentanza industriale. Dopo le mattane di chi lo aveva preceduto: quell’avvocato Gianni Agnelli afflitto da noia congenita e quindi portato a strappi pirotecnici – così, per vincere lo spleen – come l’accordo sul punto unico di contingenza con Luciano Lama, presupponendo scenari economici che non si sarebbero mai presentati.

Il robotico Carli fece il suo mestiere di normalizzatore al servizio dell’establishment e poi venne liquidato dai padroni. E Savona? Lui cercò con le unghie e con i denti di mantenere la carica nel cubo nero di viale dell’Astronomia all’Eur, ma venne rapidamente messo alla porta.

Come premio di consolazione gli venne successivamente assicurata una cattedra in LUISS, Libera Università degli Studi Sociali “Guido Carli”. E qui troviamo una prima simmetria con il percorso esistenziale dell’altro professore dell’ipotetica compagine ministeriale gialloverde con sfumature di nero: anche l’aspirante premier Giuseppe Conte (in versione “re travicello”) ha insegnato in un’altra istituzione universitaria la cui denominazione è aggettivata “libera”: la LUMSA, Libera universitas Maria Ss Assumpta. L’una laica, l’altra clerical-papista, ma sempre istituti le cui strutture didattiche e la missione sottostante lasciano trapelare una coltivazione indefessa dei valori gerarchico/autoritario/tradizionalisti dei potentati in penombra di questa Italia del capitalismo relazionale e delle ragnatele ecclesiastiche.

Sedi che attirano come il miele questi personaggi provenienti dalle estreme periferie del Paese, intenzionati a far carriera mettendosi al servizio dei principi legge&ordine di lorsignori, in attesa di ricavarne benemerenze e premi adeguati a questa loro servitù volontaria.

Difatti i curricula, taroccati o meno, sia di Conte che di Savona parlano chiaramente di tali scelte di vita consacrate all’establishment: l’uno – magari – con il di più della devozione al terribile Padre Pio, espressione del mondo intriso di religiosità pagano-contadina che sopravvive dalle parti di San Giovanni Rotondo, provenienza tanto del frate come del giurista; l’altro – probabilmente – l’antico sospetto di fratellanze massoniche che si porta appresso.

La capitale è zeppa di personaggi di tal fatta, dagli spicciafaccende ai sedicenti grand commis; sempre in carriera. Ciò che risulta poco chiaro è il che cosa tanto Luigi Di Maio che Matteo Salvini ci trovino in loro; visto che dovrebbero rappresentare l’antitesi di quel mondo nuovo (rivoluzionario?) che i dioscuri dichiarano di voler promuovere.

Forse pensano di poterli utilizzare come chiavi d’accesso ad ambienti dove stentano a essere accolti; una sorta di “diletta guida Virgilio” nei gironi infernali del potere? O forse si tratta soltanto del fascino che il parvenu subisce nella Roma generona; delle damazze di princisbecco scambiate per gentildonne a 24 carati?

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