Se dell’investigatore italiano che avrebbe dovuto accompagnare l’ambasciatore Giampaolo Cantini in Egitto per continuare le indagini sulla morte di Giulio Regeni non c’è traccia, nella nostra sede di rappresentanza al Cairo arriverà a breve un nuovo esperto di diritti umani. L’offerta di lavoro è apparsa alcuni giorni fa sul sito dell’Aics, l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, e lascia pochi dubbi sul fatto che le relazioni tra i due Paesi siano più forti di prima.

Il programma “Supporto al coordinamento programmi della Sede Aics del Cairo”, AID 10837 – recita il documento – “vuole contribuire alle esigenze di sviluppo dell’Egitto garantendo il buon funzionamento degli interventi finanziati dall’Italia e la loro coerenza con le politiche e strategie di sviluppo nazionali e settoriali. Il suo obiettivo specifico è quello di assicurare alla Sede del Cairo dell’Aics l’effettiva capacità per svolgere in modo adeguato, efficace ed efficiente il coordinamento generale delle attività di cooperazione allo sviluppo e la programmazione, formulazione, gestione e monitoraggio delle iniziative finanziate dall’Aics in Egitto”.

Nessun riferimento dunque alla morte del giovane ricercatore di Fiumicello, il cui corpo senza vita era stato ritrovato alla periferia del Cairo il 3 febbraio 2016, né alla crisi diplomatica dovuta alla scarsa collaborazione delle autorità locali nelle indagini. Fattore che nell’aprile del 2016 aveva provocato il ritiro, da parte del nostro esecutivo, dell’allora ambasciatore italiano Maurizio Massari.

Il documento apparso sul sito dell’Aics non fa neppure menzione dei 60.000 detenuti politici dal 2013 a oggi e delle numerose sparizione forzate, circa tre al giorno. Nella descrizione del Paese si limita infatti a dire che “l’Egitto ha conosciuto significativi cambiamenti politici ed economici dal 2011 ad oggi” e aggiunge che “a seguito di questa fase storica di transizione, che ha comportato periodi di instabilità politica, le principali fonti di reddito dell’economia sono state negativamente influenzate, in particolare nel settore del turismo, così come i ricavi del canale di Suez, idrocarburi e rimesse degli egiziani che lavorano all’estero, dall’andamento dell’economia globale”.

Secondo fonti vicine alla cooperazione, la definizione di esperto di diritti umani suona abbastanza anomala, dopo che a seguito di una repressione che ha colpito anche le organizzazioni non governative le attività di sviluppo legate a quel settore non vengono praticamente più autorizzate dalle autorità egiziane.

Nel frattempo anche le indagini sulla morte di Regeni segnano il passo: la collaborazione tra le procure di Roma e Il Cairo sembra essersi fermata alla lettura del faldone di 1000 pagine consegnato a metà dicembre dagli inquirenti della capitale egiziana agli omologhi di piazzale Clodio e agli avvocati dei familiari. Da allora, anche i legali dell’Ecrf (Egyptian Commission for Rights and Freedom), ossia gli avvocati che rappresentano la famiglia Regeni al Cairo, hanno rispettato le indicazioni delle autorità egiziane che avevano permesso loro di accedere ai documenti a patto di non rivelarne pubblicamente il contenuto.

Sembrano ormai perse anche le speranze di recuperare le immagini (che le autorità egiziane sostengono siano sovrascritte) delle telecamere di sorveglianza presenti sull’ultimo tragitto che Giulio ha percorso il 25 gennaio 2016, giorno della sua sparizione. Il ministro degli affari esteri Sameh Shoukry aveva promesso a dicembre che le immagini sarebbero state consegnate ai nostri investigatori una volta recuperate. Ma, al momento, nessuna società specializzata è ancora entrata in possesso dei materiali da analizzare.

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