di Lorenzo Fassina*

Le recenti vicende Acea e Ryanair sono emblematiche di un rinnovato e positivo clima che comincia a respirarsi nel nostro paese sui temi della protezione dei diritti dei lavoratori.

La contrattazione che “sterilizza” gli effetti del jobs act e reintroduce una tutela reintegratoria in caso di licenziamento illegittimo nel caso di Acea e il potente stop che il giudice di Busto Arsizio ha opposto a Ryanair dichiarando l’antisindacalità del comportamento tenuto dalla compagnia irlandese nei confronti dei sindacati, sono il chiaro sintomo del ritorno sulla scena dei temi del lavoro.

Non c’è alcun dubbio che a questo cambiamento di clima abbia contribuito, oltre alle desolanti evidenze dei risultati delle politiche ultraliberiste dei governi Renzi e Gentiloni, in massima parte la pervicace azione di lotta della Cgil sui temi culturali del lavoro. All’origine di questa lotta c’è senza dubbio una presa di coscienza: il nostro paese non può continuare a sopravvivere senza che si ribalti l’assunto secondo cui sono le leggi del mercato e dell’economia a dettare i tempi e i modi della vita delle persone. Occorre infatti affermare fortemente le ragioni di una progettualità, di una proposta di politica economica e di politica del diritto che prenda le mosse dai principi scolpiti dalla Carta costituzionale, il cui stigma “lavoristico” venne messo brillantemente in evidenza da Costantino Mortati già dagli anni 50.

Ed è proprio la Costituzione che ha guidato la Cgil nella strategia propositiva del Piano per il Lavoro del 2013 e, più recentemente, della Carta dei Diritti Universali delle Lavoratrici e dei Lavoratori, progetto di legge corredato dai tre referendum su punti nodali della tutela dei lavoratori.

Uno dei tratti distintivi di questa operazione culturale, oltre a quello di prefigurare un nuovo modello di società, è senz’altro rintracciabile nel principio di effettività dei diritti, in special modo di quelli dei lavoratori (indipendentemente dal tipo di attività che svolgono). L’idea è semplice: per contrastare la dilagante infiltrazione neoliberista della lex mercatoria nelle pieghe di quel principio lavoristico che caratterizza, come detto, la nostra Costituzione, occorre ristabilire il primato dei diritti (e della politica dei diritti) rispetto ai freddi calcoli dell’economia; occorre contrastare il pensiero unico rappresentato dalle teoriche proprie dell’analisi economica del diritto, che traspaiono chiaramente dalla lettura del suo manifesto normativo, ovvero il decreto 23/2015 sulle tutele crescenti.

In sintesi estrema, la Carta dei Diritti della Cgil non solo fornisce un’elaborazione alternativa alla destrutturazione del diritto del lavoro, ma offre risposte certe e azionabili giudizialmente da parte dei lavoratori, in omaggio a quel principio di effettività e di concretezza dei diritti. Un diritto, infatti, non può esistere solo sulla carta e ha bisogno di essere applicato in concreto, indipendentemente dagli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione.

E in questo senso, la vicenda Acea e la strategia di contrasto giudiziario al jobs act sono l’esempio più lampante di come poter raggiungere l’obiettivo dell’effettività dei diritti ristabilendo per via contrattuale e per via giurisdizionale la chiave primaria per ottenere l’obiettivo: il principio di reintegrazione nel posto di lavoro e di adeguata riparazione del pregiudizio subito dal lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato.

Sul piano del contrasto giurisdizionale la Cgil ha operato su due fronti: sia con riguardo all’ordinamento interno che su quello sovranazionale. Con riguardo al primo, l’Ufficio giuridico confederale ha lavorato per arrivare alla Corte costituzionale e i tentativi sono stati coronati da successo perché il Tribunale di Roma, nel luglio 2017, ha sollevato la questione di illegittimità del “jobs act” di fronte alla Corte costituzionale per violazione di vari articoli della Carta fondamentale.

Nel contempo, sul fronte sovranazionale, ha anche presentato il reclamo collettivo n. 158/2017 al Comitato europeo dei diritti sociali (Ceds) per ottenere una dichiarazione di non conformità delle tutele crescenti rispetto all’articolo 24 della Carta Sociale Europea. Si è quindi creata una situazione potenzialmente virtuosa tra i due giudizi proposti: entrambi, infatti, verteranno sulla violazione di una norma sovranazionale (il citato articolo 24) che impone una adeguata riparazione al danno subito dal lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.

Ma il quadro non sarebbe completo se non parlassimo anche di un’altra importantissima iniziativa giudiziaria Cgil che sta approdando in queste settimane di fronte alla Corte costituzionale, ovvero la questione riguardante il giudizio di legittimità della norma del codice di procedura civile (il 92) che stabilisce l’automatica condanna alle spese a carico del lavoratore soccombente nei giudizi di lavoro, argomento più volte affrontato in questo blog.

Se la Corte ne dichiarerà l’illegittimità costituzionale (o ne darà una lettura costituzionalmente orientata), i lavoratori avranno molte più chances di poter ottenere giustizia e di veder affermato il proprio diritto. Concretamente, effettivamente.

* Responsabile Ufficio giuridico e vertenze Cgil nazionale

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