Durante l’operazione Etihad, Alitalia ha licenziato dipendenti disabili. Anche se non avrebbe potuto. Era questo il contenuto di un’ordinanza del tribunale di Roma che ha disposto il reintegro di un lavoratore della compagnia aerea. Secondo il magistrato, l’azienda non poteva licenziare perché in quel momento il numero di lavoratori invalidi era inferiore alla quota di riserva, stabilita per legge. La prima pronuncia di annullamento del licenziamento risale al 9 dicembre 2015 e oggi, dopo due anni, Gianluca Rossi non è ancora ritornato al lavoro. 

“Sono ai domiciliari”, racconta Rossi a ilfattoquotidiano.it. Gianluca è stato reintegrato contabilmente, ma fino ad oggi non si è trovato ancora un accordo per farlo rientrare fisicamente al lavoro. Fino ad ora, le proposte avanzate dall’azienda sono state di telelavoro: lo raccontano Gianluca e i suoi legali, e la stessa Alitalia lo conferma. “Con me non ci sono riusciti, ma mettere una persona come me in queste condizioni vuol dire dare gli arresti domiciliari”. Per questo, spiega, non ha mai accettato di lavorare da casa. Gianluca ha il 100% di invalidità causata da una diparesi spastica, una patologia che colpisce soprattutto gli arti inferiori. “Ho un carattere forte, e questo mi ha aiutato. Mi hanno aiutato gli amici e la passione per il calcio, per la Roma in particolare. Quando posso mi muovo. Ma capisci, la giornata è fatta di 24 ore: come la passi? Sono in attesa che tutto torni alla normalità”. 

Gianluca non è l’unico lavoratore che si sente “ai domiciliari”. Anche Paola – il nome è di fantasia, vuole restare anonima – è una lavoratrice appartenente alle categorie protette, licenziata da Alitalia in un’altra delle tante operazioni di riorganizzazione dell’azienda in questi anni. Ha subito fatto causa, è stata indennizzata e si è opposta. Si è opposta anche l’azienda, e la sentenza di primo grado è attesa nei prossimi mesi. “Passo le mie giornate cercando di inventarmi qualcosa e di fare qualcosa. Ma ti trovi delle giornate vuote. Del mio lavoro mi mancano moltissime cose. Mi piaceva molto quello che facevo: ero contenta e solare, e questa cosa mi è stata sempre riconosciuta. Mi manca incontrare le persone, lavorare”. Paola ha provato a cercare un altro lavoro. Ma senza successo. “Non assumono persone di cinquant’anni. È impossibile per me trovare lavoro, nonostante le agevolazioni che un’azienda ha nell’assumere persone con disabilità”. L’amarezza è tanta. “Fino a che ho lavorato, l’ho fatto come una persona ‘normale’: non so perché sia stata fatta questa discriminazione. Non so perché hanno messo fuori anche le persone con disabilità”. 

Per il caso di Gianluca Rossi, in questi due anni, l’azienda “ha provato a cercare la giusta collocazione”, spiegano oggi a ilfattoquotidiano.it da Alitalia. “Ma non è stato semplice per questioni logistiche come ad esempio quella del bagno per disabili”. “Esigenze organizzative“, quindi. “Certo, è triste che una grande azienda come Alitalia non abbia sufficienti strutture adeguate al personale disabile”, chiosa Elisabetta Durante, avvocata di Gianluca Rossi. Il 7 dicembre scorso Alitalia ha presentato una nuova proposta agli avvocati di Gianluca, Eugenio Barrile e la stessa Durante: lo spiega l’azienda e lo confermano anche i legali del lavoratore. “Un ufficio al primo piano, e non a piano terra”, commenta l’avvocata. “Con il bagno per disabili non vicinissimo e con la mensa ancora più lontana. Il mio assistito verrebbe reintegrato in cassa integrazione e lavorerebbe uno o due giorni al mese”, dice. “Allo stato attuale non c’è nulla di ufficiale: si tratta di un’interlocuzione telefonica. Restiamo in attesa. Questa volta Gianluca probabilmente accetterebbe, pur di uscire di casa e rientrare al lavoro”. 

Oltre alla causa per il reintegro, della quale per il momento ha vinto due gradi su tre nei confronti dell’azienda, che ha impugnato (la prossima udienza è prevista nel 2018, mentre Alitalia spiega che “impugnare è prassi legale per l’azienda”), Rossi ha in piedi anche una causa per mobbing nei confronti di Alitalia. 

La stessa Alitalia, all’epoca, contattata da ilfattoquotidiano.it, faceva sapere che il numero di quanti hanno perso il lavoro nell’operazione Etihad era “di 32 unità su 148 risorse che rientrano nella cosiddetta categoria protetta e che continuano a lavorare. Dei 32, 24 sono a vario titolo invalidi civili, mentre 8 rientrano nella categoria orfani di guerra“. Tutte queste persone, secondo l’ordinanza del tribunale di Roma, non potevano essere allontanate dal loro posto di lavoro. 

A impugnare il licenziamento nei tempi sono state alcune persone. Ad oggi, come conferma la stessa azienda a ilfattoquotidiano.it, due lavoratori (una persona invalida e una appartenente a categorie protette) sono stati reintegrati. “Entrambi sono stati reintegrati con ordinanza del 16 gennaio 2016 e sono ora in cassa integrazione”, aggiungono dal sindacato Cub: il primo da luglio ad agosto 2016 ha fatto 2 mesi di telelavoro. “Da settembre dello stesso anno è rientrato e ora ha 15 giorni di cigs. Il secondo è in cassa integrazione a zero ore”.

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